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Dall’essenza alla varianza: ecco la seconda edizione del Festival di RENA sulle Comunità del Cambiamento

  • Pubblicato il: 15/06/2015 - 13:50
Autore/i: 
Rubrica: 
DOVE OSA L'INNOVAZIONE
Articolo a cura di: 
Chiara Galloni

A Bologna, due giorni di panel, workshop e confronto informale per esplorare nuove pratiche e visioni di futuro, tra intelligenze collettive, innovazione sociale, ma soprattutto cultura del cambiamento

 
 
Tra i primi interventi della seconda edizione del #RENAfestival c’è quello di Lucia Votano, già Direttore del Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, perché chi più di una ricercatrice da sempre a caccia di ciò che apparentemente non esiste e non si vede, ma interagisce pesantemente con la materia dell’Universo, può spiegare il senso dell’innovazione e del cambiamento, e quanto siano temporanee tutte le nostre verità.
Dopo il successo del festival 2014, l’Associazione RENA – il movimento di intelligenze collettive al servizio dell’Italia – per la seconda edizione ha raddoppiato le giornate di incontro e con esse l’ispirazione, la connessione e la formazione di soggetti che variamente interpretano i temi dell’innovazione, di natura civica e sociale. Il 13 e 14 giugno 2015 le sale di Palazzo Re Enzo di Bologna sono state riempite di pitch ispirazionali guidati da professionisti, ricercatori, policy makers; numerosi i panel di confronto con esperti sui temi della partecipazione e della costruzione dell’agenda politica, sulle competenze necessarie per affrontare il futuro, sul design collaborativo per servizi e politiche pubbliche e sulle tecnologie funzionali al miglioramento della vita, non ultimo il discusso confronto tra Riccardo Luna e Maurizio Landini; ancora workshop  su innovazione sociale, innovazione culturale, rigenerazione spazi, educazione di frontiera e welfare; sessioni formative su comunicazione collaborativa, crowdsoucing e attivismo online; due i laboratori di “accelerazione di comunità”, oltre alle attività per bambini e ragazzi con coderdojo, design jam for children e laboratori di robotica. Per più di 600 presenze uniche, provenienti da ogni regione, indice di un Paese che comincia a masticare nuovi linguaggi e condividere nuove prospettive. Che non vuole più sentirsi nicchia, ma più propriamente il “Dipartimento Ricerca e Sviluppo d’Italia”, come ricordano gli organizzatori.
E se l’obiettivo esplicito era quello di stimolare le comunità del cambiamento, facendo acquisire loro un maggior impatto sulla società e maggior peso nel dibattito pubblico, al di là delle riflessioni e degli input dei discussant – ora estremamente suggestivi e abilitanti, ora sul filo dell’autoreferenzialità e dell’onda retorica –, è indubbio che anche nel 2015 chi ha partecipato al Festival torni a casa con nuovi impulsi e possibilità. Perché il grosso del lavoro, di RENA e delle persone che si sentono vicine alle narrazioni dell’Associazione, rimane la pratica – sui territori, sulle proprie comunità, sulle politiche locali e nazionali – tutti i giorni. E così il Festival diventa il momento di scambio di quello che, pensato e riflettuto, si è agito da un anno all’altro. E diventa un momento in cui l’energia e l’intelligenza collettive cercano di prevalere sulle difficoltà e il senso di isolamento (e d’individualismo) esperiti spesso e volentieri nel quotidiano.
È questo il framework, quindi,  in cui oltre a parlare, accadono delle cose. Un framework di cui RENA non è proprietaria in senso tradizionale ma di cui è “semplicemente” parte attiva, tra le altre.

Spazio all’Innovazione Culturale
Tra le progettualità, si inserisce anche quella sull’innovazione culturale: un ambito in cui stanno emergendo con sempre maggior insistenza professionisti e comunità che vivono il settore e il proprio ruolo in discontinuità rispetto al passato, interpreti di un cambiamento tanto più complesso, perché all’interno di un sistema storicizzato e codificato come quello della cultura.
A loro quest’anno è stato dedicato un workshop, frutto di un processo collettivo che ha visto l’Associazione, insieme a molte altre realtà attive del settore, identificare alcuni temi di rilievo. Nello specifico, tre tavoli di lavoro co-disegnati insieme a Sociolab, per forzare i presenti non solo alla riflessione, ma anche all’operatività: sulla natura giuridica degli operatori culturali, sulle visioni e gli strumenti per una governance partecipativa pubblico/privato di beni materiali e funzioni culturali, e sull’autoriflessione circa l’opportunità o meno di un gruppo organizzato di innovatori della cultura.
Molti i rilanci e le sollecitazioni da parte un gruppo come al solito misto tra practitioner, politici e amministratori, autori, studiosi e facilitatori: non tanto rivolti a RENA bensì agli stessi partecipanti, che in questo modo si auto-abilitano nell’essere portatori dei propri interessi e di soluzioni alle proprie urgenze. Le prime proposte emerse vanno dalla possibilità di approfondire la riflessione sui player al prossimo Workshop sull’Impresa Sociale di Riva del Garda, alla necessità di costruire una banca-dati a disposizione di operatori e amministratori per condividere a diverse latitudini gli strumenti pratici (atti, delibere, bandi e call, più che il solito storytelling), che hanno saputo interpretare al meglio una sussidiarietà pubblico/privato nella gestione della cultura sempre meno rimandabile (e non solo per ragioni economiche). Così come individuare uno strumento di gestione che possa collegare gli operatori indipendentemente dall’incontro fisico in festival e appuntamenti pubblici, dove cominciare a delineare quel substrato valoriale, fatto di parole chiave e proposte d’intervento, attorno a cui i cosiddetti innovatori culturali sentono l’urgenza di stringersi.
La domanda se ci troviamo o meno di fronte alla nascita di una nuova comunità resta sospesa, ma nell’aria, se ripensiamo alle suggestioni dei pitch delle due mattine di lavori, quando in effetti non si è parlato specificamente di cultura, ma di cultura del cambiamento e di comunità creative, nella convinzione che molti degli elementi che descrivono e caratterizzano i movimenti di innovazione sociale siano presenti anche in questo gruppo di lavoro.

Il ruolo delle comunità
Non a caso, come ha suggerito un grande Ezio Manzini, senza una cultura di progetto (cioè quell’esigenza di creare visione) che funga da linea guida per la pratica (cioè per la creazione di soluzioni), è impossibile creare innovazione. Almeno quell’innovazione capace di partire dalle comunità di early adopters “visionari” e trasformarsi in veri e propri nuovi modi di fare di essere mainstream, assorbibili senza (più) barriere ideologiche dalla maggior parte delle persone. In questo disegno dell’innovazione, la capacità creativa delle nuove comunità (dove la creatività risiede proprio nel creare qualcosa di nuovo attraverso tecnologie preesistenti), risulta cruciale.
Comunità che, secondo Venturi e Zandonai, superano con sempre maggior facilità il trade-off tra economia e sociale a cui siamo stati abituati per decenni, e sanno intendersi non come reti opportunistiche e assembleari, dotate di rappresentanze istituzionalizzate, ma come relazione dinamica tra tante piccole minoranze attive ed enzimatiche. Spesso e volentieri sovra-territoriali, consapevolmente multi-stakeholder, disponibili a scommettere e ad innestare senza paura degli “alieni”, sono più preoccupate di condividere e generare sistemi valoriali, che della necessità di autodefinirsi, in una sorta – potremmo dire – di “identifying by doing”.
Del resto, continuare a insistere sul darsi un nome e un’etichetta prima di aver dotato di senso e valori il proprio agire, pare sia tutto tranne innovativo: un po’ come – nella lettura di Leonardo Previ – fossilizzarsi sull’essenza a scapito della varianza, sull’essere anziché sul divenire. Forse il cambiamento sta proprio nell’accettare di stare in questa indeterminatezza di stato, nell’incertezza di prendervi parte, piuttosto che nel cercare dominarlo, dirigerlo, predeterminarlo. Nell’accettare, parafrasando nuovamente Lucia Votano, di scoprire la lampadina mentre cerchi tutto tranne che di evolvere la candela.
 
 
 
Link utili
http://www.slideshare.net/ProgettoRENA/ezio-manzini-innovazione-sociale-design-e-prosperit?qid=9d8548d6-16c3-49fb-865f-2a1acab34fb8&v=default&b=&from_search=4
http://www.slideshare.net/ProgettoRENA/paolo-venturi-e-flaviano-zandonai-ibridazioni?qid=b316350d-1b18-4a57-8ce6-a12bf15130f0&v=default&b=&from_search=1
http://www.slideshare.net/ProgettoRENA/damien-rena?qid=cba3d8d3-9b7a-45b6-a4ff-d3ffce4a6cdc&v=qf1&b=&from_search=1
 
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Chiara Galloni (Bologna, 1982). Laureata in Economia della Cultura, fonda la propria impresa culturale e creativa nel 2008, Articolture. Contestualmente approfondisce temi legati a politiche di innovazione culturale, collaborando con diversi enti e istituzioni pubbliche e private. Dal marzo 2014 coordina il presidio Cultura dell’Associazione RENA e dal gennaio 2015 è membro del Consiglio di Indirizzo della Fondazione Lirico Sinfonica Teatro Comunale di Bologna.