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Cultura, tra investimento e mecenatismo si riflette sul ruolo dei privati

  • Pubblicato il: 09/03/2012 - 15:37
Autore/i: 
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
Chiara Tinonin

Il 23 febbraio scorso è stata presentata a Roma la settima rilevazione dell’Osservatorio di sostegno al Non Profit sociale intitolata «L’andamento delle raccolte fondi nel terzo settore: stime 2011 e proiezioni 2012». La ricerca monitora l’andamento delle raccolte fondi e delle entrate delle organizzazioni non profit analizzando il comportamento di privati, aziende, fondazioni e pubblica amministrazione nel sostegno al Terzo Settore. Per questa edizione è stato studiato un campione di 163 organizzazioni non profit (ONP), di cui il 2% apparteniene al settore culturale, in collaborazione con l’Associazione Italiana Fundraiser e i patrocini del Forum Nazionale del Terzo Settore e di CSVnet. Come presumibile, le performance economiche del 2011 sono decisamente più basse rispetto all’anno precedente: la raccolta fondi è in calo per il 34% delle ONP, le entrate totali per il 38%; ma se diminuiscono del 21% le ONP in crescita, le previsioni per il 2012 sembrano aprire a un miglioramento. Il 38% degli intervistati dichiara di sperare in un miglioramento e intende migliorare le strategie di raccolta fondi puntando alla realizzazione di eventi pubblici e risparmiando costi grazie al mailing elettronico superando quello cartaceo. Tra le cause dell’andamento negativo primeggia la difficoltà a reperire nuovi donatori in un clima di concorrenza sempre più forte tra ONP che trattano gli stessi temi. Si aggiungono i tagli della spesa pubblica e delle erogazioni delle fondazioni di origine bancaria, ma si registra un positivo aumento del sostegno da parte dei privati cittadini (+22% del 2011 rispetto al 2010), migliaia di individui che, proprio in un momento di crisi, sono spinti a esercitare una nuova cittadinanza attiva.

Nella stessa giornata, a Milano, il Gruppo 24 Ore ha realizzato il secondo «Summit Arte e Cultura» per fare il punto (con un approccio sistemico) sull’andamento degli investimenti e del sostegno alla cultura nel Paese. Anche qui forte attenzione è stata dedicata al ruolo dei privati. Durante l’incontro è stata presentata la ricerca qualitativa «Cultura e comunicazione d’impresa, in tempo di crisi» condotta da The Round Table e dall’Istituto di Ricerche Astarea in collaborazione con 24 Ore Cultura. Qui il fulcro della ricerca è metodologico: le imprese che investono in cultura lo fanno per comunicare in modo più efficace? «Abbiamo notato un significativo interesse da parte delle imprese ad approfondire questi temi, un interesse che riguarda anche aziende che non sono sistematicamente sponsor della cultura, a conferma della curiosità che essa suscita e del potenziale che può  esprimere» spiega Laura Cantoni (Presidente di Astarea) nella descrizione dell’indagine che ha invitato 8 imprese (Bigmat, BiTicino, Edison, Paglieri, Pernod Ricard Italia, Polenghi Group, Pompea, Riso Scotti) a esprimersi in un forum online della durata di cinque giorni. La ricerca è poi proseguita con interviste in profondità ad altri 15 soggetti, tra imprese e fondazioni (Accenture, Campari, Credit Suisse, Enel, ENI, Fondazione Bracco, Fondazione Cariplo, IBM, Intesa San Paolo, Levoni, Pernigotti, Philips, Telecom, UBI Banca e Vodafone). Tra i risultati si legge che le imprese che iniziano a utilizzare la cultura come leva di comunicazione tendenzialmente non l’abbandonano, che la cultura è spesso motrice di un processo di miglioramento dell’immagine, del ruolo sociale e della reputazione dell’impresa presso il suo territorio di riferimento, ancora di più in un momento storico in cui il ruolo dello Stato è così assente. Le imprese preferiscono investire in mostre e sostenere musei, sponsorizzare eventi musicali e festival culturali o scientifici, con un interessante approccio alla pianificazione pluriennale e all’apertura nel trovare nuovi indicatori per misurare i risultati dei propri investimenti culturali.

Accanto alle sponsorizzazioni emerge il modello del nuovo mecenatismo d’impresa: emblematico il «caso Della Valle» e il Colosseo di Roma, ma anche quello dell’imprenditore Benetton e il teatro La Fenice di Venezia o di Bruno Cucinelli e l’Arco Etrusco di Perugia. Il tema è stato al centro della giornata di studi fiorentina «Mecenatismo e sponsorizzazioni per il patrimonio culturale: dopo il caso Della Valle, una missione impossibile?» promossa dalla Fondazione Cesifin dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, dall’Università di Firenze e dall’Università di Parigi Sud.
L’appuntamento ha messo in comparazione Italia, Francia e Inghilterra sui temi dell’intervento dei privati a sostegno della conservazione e della valorizzazione del patrimonio culturale, sviscerando quali politiche pubbliche possano favorire l’innesto di comportamenti privati virtuosi. Alla prima sessione accademica, con gli interventi di Luciano Segreto (Università di Firenze), Jèrôme Fromageau (Université Paris Sud), Marie Cornu (Centre d’Etudes sur la Coopération Juridique Internationale), Sophie Vigneron (University of Kent), Astrid Müller-Katzenburg (Universität Potsdam), Manlio Frigo (Università di Milano) ed Elio Borgonovi (Università Bocconi) ha fatto seguito l’incontro istituzionale di Giuseppe Morbidelli (Presidente Fondazione Cesifin), Roland de Calonne (Vice Presidente dell’Associazione Demeure Historique), Fabio Roversi Monaco (Presidente Fondazione Carisbo) e Giovanni Gentile (Presidente Fondazione Florens). La comparazione internazionale fa emergere un quadro angosciante per il nostro Paese, che ancora non possiede né strumenti giuridici né incentivi fiscali adeguati (come il «challenge grant» anglosassone) per favorire una reale cooperazione pubblico-privato per la tutela del patrimonio culturale comune.

Un punto esplicitato in maniera lucida da Gilberto Corbellini che, a commento del manifesto per una «costituente della cultura» lanciato dall’inserto «Domenica» del Sole 24 Ore e presentato al Summit Arte e Cultura, ha spiegato come lo snodo cruciale per una ricostruzione economica e civile del Paese stia nella definizione di una nuova politica culturale. «E’ inutile recriminare sulle responsabilità, ma si dovrebbe prendere atto che per varie ragioni negli ultimi decenni si è selezionata una classe politica decisamente scarsa sul piano culturale. E che forse anche per questo non si rende conto del fatto che i Paesi nei quali, storicamente e attualmente, si cresce economicamente e dove si registra un grado elevato di senso civico investono cospicuamente in cultura. E questo perché chi li governa o sa o si è documentato, invece di limitarsi a commissionare sondaggi, sul fatto che la produzione e diffusione di cultura, umanistica o scientifica, purché di qualità, stimola la creatività e quindi promuove l’innovazione, nonché migliora la vita civile e istituzionale di una società» (Domenica, Il Sole 24 Ore, 26 febbraio 2012). Nello stesso articolo Corbellini cita un recente studio condotto da Niklas Potrafke (Università di Costanza) su 125 Paesi, intitolato «Intelligence and Corruption» (pubblicato nel mese di gennaio in «Economics Letters» Vol. 114, No. 1). La ricerca rivela che dove ci sono livelli di prestazioni intellettuali più alti, la corruzione, che è uno dei fattori che più danneggiano la crescita economica, è più bassa. Italia docet.

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