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Cultura in Italia: sagre della castagna o piazze del Sapere?

  • Pubblicato il: 25/08/2016 - 19:20
Autore/i: 
Rubrica: 
SPECIALI
Articolo a cura di: 
Antonella Agnoli

SPECIALE MECENATE '90. Sesto contributo dello Speciale sull’innovazione delle politiche culturali in collaborazione con Mecenate ’90. La parola ad Antonella Agnoli, riferimento nazionale per le biblioteche che pone un forte interrogativo, al di là di ogni provocazione. Troppe strutture, troppi eventi non coordinati. “Di quali istituzioni abbiamo bisognoper uscire “dall’età dell’ignoranza?” In Italia circa una persona su 5, non svolge alcuna attività culturale, anche se semplice e occasionale, cioè nell'ultimo anno non ha né letto un libro o un giornale, né visitato un museo, una mostra, un sito archeologico, né è andato a teatro, al cinema, a un concerto a uno spettacolo sportivo e nemmeno a ballare. Un invito ad una riflessione radicale sulle politiche culturali territoriali per superare la trappola dell’attrazione turistica ad ogni costo, del consenso di breve. Con “gli investimenti” pubblici “rivolti agli eventi si potrebbero fare funzionare meglio le strutture culturali per combattere la povertà educativa che affligge il nostro Paese”, puntando su “strutture presenti sul territorio con la stessa capillarità delle caserme dei vigili del fuoco. diverse da quelle esistenti (..) musei che sappiano innanzitutto aprirsi ai bambini (…) luoghi dove i cittadini possano fare esperienze” invece di ostinarci “a mantenere aperte realtà che non si parlano e non si coordinano (…). Abbiamo bisogno di innovazione, di sperimentazione”

Abito a Bologna. Faccio parte del Consiglio d’amministrazione dell’istituzione Biblioteche. Inizierò quindi la mia riflessione sul rilancio della cultura in Italia con una proposta: chiudere Sala Borsa, la Cineteca, il MAMbo, il museo della Musica, la Pinacoteca. E, allargando lo sguardo a paesi e città vicine, propongo anche di rinunciare alla “Sagra del Tortellino tradizionale” (Castelfranco Emilia), di eliminare “Granarolo in festa” (Granarolo) e di abolire la “Sagra della castagna e del borlengo” (Labante). Sono poi convinta che la regione potrebbe sopravvivere anche facendo a meno della “Festa del villeggiante: una grande gara di briscola con premi di salumeria e tanta allegria” che si è svolta qualche giorno fa a Castel d’Aiano, sull’Appennino bolognese.

Forse l’idea di azzerare le istituzioni culturali della mia città, e di cancellare tutte le manifestazioni estive, è troppo provocatoria, ma abbiamo bisogno di riflettere su due cose: che politica turistico-culturale fanno gli enti locali e di quali istituzioni abbiamo bisogno.

Il punto di partenza è il fatto che da Bolzano a Pantelleria, dal Ministero al più piccolo comune, cultura e turismo si mescolano. La cultura deve essere “produttiva”, altrimenti non ce la possiamo permettere, ci dicono. Non a caso, come ha scritto Alessandro Leon sui queste colonne, negli ultimi anni c’è stata “una forte riduzione delle risorse pubbliche assegnate alla cultura, una diminuzione che non ha confronti con quella subita da altri settori dello Stato. La responsabilità di questo stato delle cose si situa nelle politiche economiche dell’Unione Europea ispirate alla cosiddetta austerità e risale all’accordo sottoscritto nel 1997 dai paesi membri dell'Unione europea e inerente al controllo delle rispettive politiche di bilancio pubbliche allo scopo di mantenere fermi i requisiti di adesione all'Unione economica e monetaria”.
Quindi i fondi diminuiscono e quelli che ci sono vengono usati o per pagare il personale esistente, con un sostanziale blocco delle assunzioni, o per iniziative che promettano un qualche ritorno sotto forma di maggiore afflusso di turisti. Nessuno osa criticare le sagre, per timore di essere considerato spocchioso, elitista e antidemocratico: in fondo chi sono io per decretare che a Turi avere una biblioteca aperta e funzionante è meglio della sagra della ciliegia Ferrovia, o che la gara di briscola è meglio dello spettacolo teatrale per bambini?
In realtà, io non ho nulla contro le gare di briscola purché facciano appello allo sforzo degli appassionati, senza chiedere un euro al Comune, e neppure un’ora di straordinario dei vigili, degli addetti alle pulizie delle strade e dei vigili del fuoco. Il problema nasce quando sindaci e assessori in cerca di facile popolarità si prestano ben volentieri a concedere piccoli contributi alle sagre, oltre all’occupazione del suolo pubblico e alle modifiche alla circolazione. Quelli sono soldi che andrebbero messi nel salvadanaio e usati per qualcos’altro.
A scanso di equivoci, dirò anche che gli eventi culturali, in particolare i premi letterari, sono sostanzialmente uno spreco di denaro pubblico, pochi fanno eccezione. So di dare un dispiacere ai 7000 e passa assessori alla Cultura dei comuni italiani che sponsorizzano un premio letterario, ma francamente credo che pochi di loro abbiano contribuito alla scoperta di un nuovo talento, alla nascita di un giovane scrittore. Vale la pena ricordare che secondo le ultime rilevazioni ISTAT in Italia circa una persona su 5, ossia il 18,5% della popolazione, non svolge alcuna attività culturale, anche se semplice e occasionale, e cioè nell'ultimo anno non ha né letto un libro o un giornale, né visitato un museo, una mostra, un sito archeologico, né è andato a teatro, al cinema, a un concerto a uno spettacolo sportivo e nemmeno a ballare. Una percentuale che sale al 28,2% al Sud, e cala al 12,1% nel Nord Est.
Con i soldi risparmiati sugli eventi si potrebbero fare funzionare meglio le strutture culturali per combattere la povertà educativa che affligge il nostro Paese. La povertà educativa ha cause complesse e lontane nel tempo ma certo non possiamo pensare di combatterla, e di continuare a tollerare l’analfabetismo funzionale di molti adulti, se non chiediamo al governo di cambiare rotta, di uscire dall’età dell’ignoranza in cui siamo precipitati. Abbiamo bisogno di strutture permanenti, di base, che siano aperte a tutta la popolazione, a cominciare dalla scuola elementare e dalle biblioteche di pubblica lettura. Questa è la vera scelta da fare, il vero programma per un rilancio della cultura in Italia: puntare su strutture presenti sul territorio con la stessa capillarità delle caserme dei vigili del fuoco.
Penso a strutture diverse da quelle esistenti, per esempio musei che sappiano innanzitutto aprirsi ai bambini. Perché i musei scandinavi sono pieni di pargoli che guardano, toccano, copiano, colorano le opere d’arte mentre da noi i bimbi sono visti come un fastidio e al massimo arrivano, annoiati, in gruppo con la maestra, a guardare da lontano teche polverose e quadri protetti dagli allarmi?

Il discorso sulle strutture, tuttavia, esige qualche approfondimento: gli assetti attuali sono inadatti al mondo in cui viviamo, e non c’è solo il problema di iper-regolamentazione, giustamente messo in rilievo da Michele Trimarchi su questo speciale. La prima cosa da fare è creare grandi strutture multimediali, dove convivano arte e scienza, lettura e cinema, musica e teatro, attività fisica e sperimentazione.
A Bologna forse non sarebbe possibile costruire una nuova, grande struttura, un nuovo edificio al posto di Sala Borsa, della Cineteca, del MAMbo e del museo della Musica. Però sappiamo che le istituzioni esistenti sono troppo piccole, vecchie, asfittiche, soprattutto nei piccoli Comuni, e soprattutto non lavorano insieme: se vogliamo creare nuovi pubblici non dobbiamo puntare sull’ennesima mostra degli impressionisti, ma su luoghi dove i cittadini possano fare esperienze diverse, dal libro al quadro di Morandi, dal giornale alla scultura di Brancusi, dalla partitura di Ravel alla fotografia di Nick Brandt, dal fumetto di Zerocalcare al film di Bertolucci.
Non si tratta di una ricetta particolarmente originale, visto che già negli anni Settanta il Beaubourg a Parigi metteva insieme forme diverse di espressione culturale, con enorme successo, e che da allora i grandi musei e le grandi biblioteche hanno tutti cercato di ampliare la loro offerta. Noi ci ostiniamo a mantenere aperte strutture che non si parlano e non si coordinano fra loro, frammentate nel personale, negli orari, nei programmi. Abbiamo bisogno di innovazione, di sperimentazione ma soprattutto di istituzioni con una massa critica sufficiente per competere sul piano internazionale: i musei di paese fatti di due stanze, aperte tre pomeriggi la settimana non ci portano da nessuna parte. Questo è ovvio nelle piccole città e nei paesi ma rimane vero anche per Milano, Roma e Firenze.

Le istituzioni esistenti devono cooperare e fare sinergia tra loro, meglio se in sedi con offerte multiple: vorrei vedere la biblioteca insieme al teatro, al cinema, alla piscina.

Antonella Agnoli
Esperta in biblioteche

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