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Come lo sviluppo e l'ampliamento dei pubblici favoriscono l’innovazione culturale

  • Pubblicato il: 07/07/2016 - 15:53
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Alessandro Bollo

Nello scenario attuale, a livello italiano così come a livello europeo, l’audience development si sta connotando come un importante fattore di innovazione e cambiamento in ambito culturale e creativo. Il contributo intende evidenziare implicazioni e potenzialità, anche attraverso esperienze paradigmatiche di organizzazioni culturali che stanno sperimentando nuovi modelli di partecipazione e inclusione, soluzioni tecnologiche avanzate, nuovi modelli di sostenibilità audience centred

Si deve principalmente al programma Europeo Creative Europe il merito di avere posto sotto i riflettori il concetto di audience development. Per la verità, in ambito anglosassone, questo tema era già stato elaborato concettualmente e tradotto in prassi operativa da alcuni decenni. Oggi, però, trova nuova linfa e un significato più arioso e articolato perché l’audience development viene indicato come una delle più promettenti risposte alla crisi del sistema culturale europeo in costante e affannosa ricerca di legittimità politica e sociale, di modelli di sostenibilità alternativi, di mercati meno frammentati e spazi sociali più fluidi, coesi e “biodiversi”.
Occorre rilevare come il concetto attuale più evoluto di audience development non si esaurisca esclusivamente nel raggiungimento di obiettivi di crescita quantitativa della domanda di cultura, ma si ponga anche l’obiettivo della diversificazione dell’audience andando a stimolare pubblici potenziali e nuovi attraverso innovazione e cambiamento nei format progettuali, nelle logiche di partecipazione e mediazione, negli strumenti di ascolto e di comunicazione, nell’utilizzo consapevole delle tecnologie e del digitale. Attenzione ai risultati di pubblico e alle performance economiche quindi, ma anche orientamento alla qualità delle esperienze offerte, al coinvolgimento attivo e partecipativo dei pubblici abituali, innovazione nei meccanismi di ingaggio rispetto a pubblici potenziali, a pubblici nuovi e a categorie svantaggiate. Un aspetto interessante della questione riguarda, inoltre, il fatto che il tema dello sviluppo del pubblico sta tracimando fuori dai perimetri delle istituzioni culturali mainstream, invadendo nuovi spazi di azione e di progettualità e favorendo pertanto innovazione di processo e di prodotto. Si pensi alle tante realtà di nuova costituzione, molto diverse per forma giuridica (dalle associazioni, alle cooperative, alle imprese sociali, alle startup, ai gruppi informali autorganizzati), nate per rispondere a bisogni emergenti di comunità e territori, per riconnettere patrimonio e società, per cogliere le opportunità delle economie collaborative e le potenzialità connettive del digitale.

Il rapporto tra audience development, processi di cambiamento e stimolo all’innovazione culturale può essere letto sotto diverse prospettive: dall’ampliamento della base sociale della cultura alla sperimentazione di nuovi modelli di partecipazione, dallo sviluppo di soluzioni a elevato contenuto tecnologico alla ricerca di nuovi modelli di sostenibilità audience centred, dall’adozione di strategie cross-settoriali e sviluppo del capitale relazionale delle organizzazioni allo sviluppo di nuovi prodotti culturali, caratterizzati da forti dinamiche di relazione tra il processo creativo e i soggetti coinvolti.
Uno degli ambiti di maggiore attenzione e investimento riguarda l’ampio spettro di interventi, iniziative e progetti pensati per ampliare la base sociale della produzione culturale attraverso il coinvolgimento di pubblici potenziali. Difficile pensare a istituzioni culturali mainstream (siano esse teatri, musei, festival, beni culturali) che – anche solo nominalmente o retoricamente – non dichiarino un cambio di marcia nella ricerca di pubblici nuovi. Un discorso a parte merita il tema dell’accesso e della partecipazione rivolto a categorie svantaggiate, storicamente escluse o in condizioni contingenti di difficoltà e di marginalità. In questo caso i potenziali benefici toccano dimensioni e soggetti piuttosto differenziati. Questi processi di inclusione (si pensi, ad esempio, ai progetti rivolti ai portatori di disabilità cognitiva, sensoriale o motoria, a chi soffre di malattie degenerative, ai giovani a rischio, ai migranti, per citare le categorie maggiormente coinvolte) rappresentano forme di welfare culturale integrativo e spesso sostitutivo rispetto all’arretramento dell’azione pubblica, i cui impatti in termini sociali ed economici dovrebbero essere attentamente misurati e posti all’attenzione dell’agenda dei policy maker quando si definiscono priorità e assi di intervento. Rappresentano, altresì, mercati e spazi di azione che possono aprire opportunità in termini di nuova intrapresa culturale, di innovazione di processo e di prodotto e di posizionamento istituzionale. Basti pensare che in Europa sono presenti 63 milioni di persone con problemi di difficoltà di varia natura che non accedono al patrimonio culturale per barriere e ostacoli molteplici (fisici e culturali) con un effetto moltiplicatore mancato se si considerano gli accompagnatori e le famiglie coinvolgibili. In Inghilterra, ad esempio, il New Wolsey Theatre di Ipswich ha deciso di caratterizzare la sua offerta culturale enfatizzando al massimo gli aspetti di accessibilità (il programma è pensato per tutte le possibili categorie di utenti attraverso dotazioni tecnologiche e servizi gratuiti rivolti a portatori di difficoltà visive e uditive). Quello dell’accessibilità rappresenta dunque un interessante banco di prova anche per gli innovatori e gli imprenditori culturali. Interessanti, da questo punto di vista, il progetto di cinematografia accessibile sviluppato da Poiesis in Puglia che coniuga innovazione tecnica e sociale, così come la piattaforma Aptent in Spagna che, basandosi sui principi del “design for all” fornisce servizi e soluzioni tecnologiche a decine di realtà di spettacolo (applicazioni mobile, sottotitolature per sordi, audio-descrizioni, amplificazioni sonore individuali, lingua dei segni, ecc.). Anche sul fronte dei beni culturali si stanno sviluppando soluzioni innovative come, ad esempio, l’esperienza multisensoriale realizzata da Palazzo Madama che combina nuove tecnologie e tecniche di stampa (immagini in rilievo, fruizione sonora e lingua visiva in LIS, QR Code) per consentire a tutti, a prescindere dalle diverse abilità sensoriali, di leggere dalla Torre Panoramica del museo il panorama urbano e naturalistico della città. Diverso invece l’approccio di Tooteko, una giovane startup italiana già vincitrice di diversi premi, che ha sviluppato una tecnologia che consente di rendere accessibili i luoghi d’arte (come musei, gallerie, aree archeologiche) attraverso supporti che consentono ai ciechi di “leggere” le opere d’arte attraverso il tatto.
Processi di innovazione e di sperimentazione si stanno portando avanti anche sul fronte delle pratiche e dei modelli di partecipazione culturale. Nella grammatica progettuale delle organizzazioni culturali si stanno, infatti, imponendo interessanti approcci partecipativi basati sul coinvolgimento attivo dei pubblici e su modalità più o meno intense di co-creazione. Sono ormai numerosissime le iniziative di musei, festival, teatri e centri culturali in Italia in cui – con gradi d’intensità diversi - il potenziale creativo, culturale ed espressivo del pubblico viene assecondato, stimolato, coltivato, negoziato e adoperato in forme collaborative di produzione di significato che contribuiscono a rafforzare il senso di comunità e di adesione a specifiche istituzioni e realtà culturali. Le forme più radicali di co-creazione prevedono addirittura che sia il pubblico a intervenire direttamente nei processi di programmazione e produzione artistico-culturale, sostituendosi all’istituzione stessa, come nei casi del Takeover Festival di York e del Museo Nazionale di Varsavia. Il caso del festival inglese è interessante in quanto è completamente organizzato e gestito da ragazzi e giovani tra i 12 e i 26 anni. A loro il teatro affida il compito di realizzare in toto la manifestazione: dalla scelta degli spettacoli, alla contrattualizzazione degli artisti, all’organizzazione, fino alla promozione del cartellone e alla gestione del budget attraverso un’articolazione del lavoro e dei ruoli che “specchia” quella reale del teatro. A Varsavia, invece, il Polish Museum ha realizzato la mostra Anything Goes (pensata per un pubblico adulto) facendola curare e realizzare da 69 bambini che hanno collaborato con il museo per più di 6 mesi.

Cambiando nuovamente dimensione di analisi, sono crescenti e spesso paradigmatiche le esperienze di utilizzo avanzato delle tecnologie e del digitale per aiutare le imprese culturali e creative a superare la frammentazione dei mercati in cui lavorano (molto spesso perimetrati anche da barriere di natura linguistica, si pensi al teatro, al cinema e alla letteratura), a internazionalizzare prodotti di eccellenza e ampliare la base sociale dei potenziali beneficiari, oltre a realizzare nuovi prodotti che vivono in una dimensione prettamente digitale. Tra le molte iniziative si pensi, ad esempio, al progetto Digital Concert Hall dei Berliner Philarmoniker che consente di assistere on-line a un’intera stagione sinfonica, godendo di uno spettacolo “virtuale” ad alta definizione estremamente personalizzabile (è possibile scegliere anche la visione soggettiva dei singoli strumentisti all’interno dell’orchestra). A dimostrazione dell’efficacia dell’iniziativa a livello internazionale basti dire che già lo scorso anno i biglietti comprati online superavano quelli venduti durante i concerti dal vivo. Il successo di quest’iniziativa ha portato molti teatri d’opera e orchestre a lanciare anch’essi delle stagioni di concerti in streaming (la Royal Opera House di Londra trasmette in streaming in 60 paesi tra cui l’Italia e alcuni festival musicali finlandesi stanno, invece, iniziando a trasmettere in diretta contenuti digitali per un curioso e crescente mercato cinese). Sono più di 600 i cinema in Italia, collegati attraverso un kit satellitare dedicato per la ricezione di contenuti digitali, che trasmettono dirette a pagamento di concerti, opere, eventi live ed esperienze culturali immersive, spesso registrando risultati di tutto rispetto anche in relazione alla composizione del pubblico coinvolto (dal 2012 a oggi c’è stato un incremento del 93% delle performance di vendita generate da un pubblico più trasversale, giovane e neofita). Altra interessante prospettiva è quella, invece, della realizzazione di piattaforme di aggregazione di domanda cinematografica autopromossa e dal basso che si innesta negli “interstizi” e nei vuoti della programmazione canonica degli esercizi cinematografici (come nel caso della piattaforma italiana Movieday che connette contenuti ed esercenti attraverso il pubblico).

Tra i progetti di grande scala vale la pena citare la piattaforma digitale di Google Art Project, realizzata nell’ambito delle attività del Google Culture Institute che permette alle istituzioni culturali di mettere in rete il proprio patrimonio artistico, culturale e scientifico attraverso immagini ad alta risoluzione e contenuti curatoriali di estrema qualità. Nella piattaforma di Google oltre all’Art Project, sono presenti anche altre progettualità connesse al mondo culturale con più di 200 collezioni provenienti da oltre 40 diversi paesi per un totale di più di 40.000 tra opere d’arte e contenuti storici. Sono diversi i musei e le organizzazioni culturali Italiani presenti sulla piattaforma di Google (tra gli altri, interessanti i progetti curatoriali del Teatro della Pergola, della Biennale di Venezia e del MAO Museo d’arte Orientale di Torino) e da poco hanno riconosciuto l’utilità di questo strumento anche i festival, come ad esempio il Ravenna Festival che ha messo in alta definizione le immagini più significative dei “Concerti dell’Amicizia” realizzati in giro il mondo nei suoi oltre 30 anni di attività o la piattaforma europea EFFE, dedicata ad alcuni fra i principali festival europei.
Nel settore dell’editoria si stanno sviluppando, infine, tecnologie di audio e-book evoluti che consentono contestualmente di leggere in una lingua e di ascoltare in cuffia il testo tradotto in un’altra (con il vantaggio anche di migliorare le proprie conoscenze linguistiche). E’ evidente il vantaggio potenziale per i diversi editori specializzati e di nicchia che potranno vendere e costruire interessanti alleanze progettuali al di fuori dei propri perimetri linguistici.

ABSTRACT

Nello scenario attuale l’audience development si sta connotando come un importante fattore di innovazione e di risposta alla crisi del sistema culturale europeo in costante e affannosa ricerca di legittimità politica e sociale, di modelli di sostenibilità alternativi, di mercati meno frammentati e spazi sociali più fluidi e coesi. Lo sviluppo dei pubblici è inteso sia come ampliamento della domanda di cultura già esistente sia come diversificazione e coinvolgimento di pubblici potenziali e nuovi.
Il rapporto tra audience development, processi di cambiamento e stimolo all’innovazione culturale può essere letto sotto diverse prospettive: dall’ampliamento della base sociale della cultura alla sperimentazione di nuovi modelli di partecipazione, dallo sviluppo di soluzioni a elevato contenuto tecnologico alla ricerca di nuovi modelli di sostenibilità audience centred, dall’adozione di strategie cross-settoriali e sviluppo del capitale relazionale delle organizzazioni allo sviluppo di nuovi prodotti culturali, caratterizzati da forti dinamiche di relazione tra il processo creativo e i soggetti coinvolti.
Il contributo intende evidenziare implicazioni e potenzialità, anche attraverso esperienze paradigmatiche di organizzazioni culturali – in Italia e in Europa – che stanno avviando nuovi modelli di ingaggio e di esperienza culturali per superare la frammentazione dei mercati e per sperimentare nuovi modelli di inclusione e di partecipazione.

Articolo tratto da Io Sono Cultura 2016 di Symbola - Fondazione per le Qualità Italiane

Alessandro Bollo è Co-fondatore e Responsabile Ricerca e consulenza di Fondazione Fitzcarraldo