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Collezione Peggy Guggenheim

  • Pubblicato il: 06/07/2012 - 20:02
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI CIVILI
Articolo a cura di: 
Chiara Tinonin
Collezione Peggy Guggenheim

Affacciato sul Canal Grande, Palazzo Venier dei Leoni è uno dei luoghi più visitati della laguna. Nel 2011 la Collezione Peggy Guggenheim ha raggiunto il record di 401.299 visitatori (50.000 visitatori in più rispetto al 2010, con un incremento del 14% rispetto al 2010) e una media giornaliera di 1.278 persone. Sotto la direzione di Philip Rylands, storico dell’arte, il museo aperto nel 1980 ha saputo affermarsi in questi anni come una delle più importanti istituzioni culturali del paese. «Ho gestito il museo come la sede italiana di un museo americano, anche se il palazzo e la collezione sono vincolati dal ministero dei Beni Culturali e  siamo territorialmente, fiscalmente e culturalmente italiani» spiega Rylands. La Collezione Peggy Guggenheim è una fondazione di diritto americano che, in modo avveniristico per l’Italia, fin dal ’92 possiede un’offerta strutturata di «corporate partnership» («Intrapresæ Collezione Guggenheim») – che raggruppa aziende italiane e internazionali leader nei propri settori di attività – in grado di coprire il budget dell’istituzione, insieme alle donazioni e ricavi ottenuti dall’affitto degli spazi, per il 30% (solo l’1% arriva dalla pubblica amministrazione, Regione Veneto). Oltre al gruppo di corporate partners, il museo è sostenuto dal partner istituzionale BSI, Banca della Svizzera Italiana, da sponsor per progetti singoli e da un nutrito gruppo di sostenitori individuali, tra i quali i membri del Comitato Consultivo (Board). L’autofinanziamento di matrice americana è dunque la principale caratteristica del museo che riesce a sostenersi, oltre che attraverso le partnership con i privati, con gli ingressi (50% del budget) e le vendite del bookshop, considerato come «un’importante estensione della nostra attività didattica» (20%) afferma il direttore.
La Collezione ha affrontato la crisi grazie a un’attenta gestione delle spese e alla messa in pratica di innovative forme di comunicazione. In corrispondenza dei primi segnali della crisi (fine 2008) sono state attivate collaborazioni con istituzioni e aziende a livello nazionale (tra i quali Touring Club, Fai, IKEA) che hanno favorito un aumento di visitatori locali in momenti di riduzione del flusso turistico straniero e sono state ideate nuove iniziative dedicate alle famiglie e ai giovani. Anche in periodo di crisi il museo ha continuato a produrre mostre di ricerca, proporre una programmazione didattica articolata e a comunicare la propria internazionalità a partire da un forte radicamento al territorio. C’è di più: «dopo tutte le spese, sia fisse che variabili, chiudiamo il bilancio con un utile lordo che aiuta a sostenere la manutenzione straordinaria della sede» spiega Rylands. Un benchmark nel campo dell’intervento privato nella cultura, ma anche nell’efficienza gestionale se si pensa che proprio quest’anno, in poco più di un mese (dall’11 gennaio al 19 febbraio 2012) e con due soli giorni di chiusura, l’impianto di climatizzazione e il sistema di illuminazione sono stati totalmente rinnovati. Un dieci e lode anche alla valorizzazione delle collezioni (quest’anno la mostra «Arte europea 1949-1979» curata dallo stesso Rylands ha raccontato gli anni veneziani di Peggy con opere del secondo dopoguerra raramente esposte che vanno da Rotella, Vedova e Tancredi a Bacon, Sutherland, Mack) e alle partnership extra veneziane, come il ciclo di mostre a cura di Luca Massimo Barbero presso la sede espositiva ARCA di Vercelli («I giganti dell’avanguardia: Mirò, Mondrian, Calder e le Collezioni Guggenheim» fino al 10 giugno).

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(dal XII Rapporto Annuale Fondazioni)