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Berlin Mondiale

  • Pubblicato il: 15/10/2017 - 20:00
Autore/i: 
Rubrica: 
CULTURA E WELFARE
Articolo a cura di: 
Ivana Bosso

In una Europa divisa e sempre più xenofoba, un network berlinese di istituzioni culturali e centri di accoglienza  favorisce una cittadinanza attiva e inclusiva dei rifugiati e richiedenti asilo. Conversazione con la project manager Sabine Kroner.
Rubrica di ricerca in collaborazione con Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo.
 

Berlin Mondiale è un network concepito con lo scopo di favorire una cittadinanza attiva e inclusiva dei rifugiati e richiedenti asilo, residenti nei centri di accoglienza della città, attraverso attività realizzate in partnership tra istituzioni culturali e gli stessi centri in una logica di incontro e scambio interculturale con gli abitanti di Berlino.
 
Poiché i rifugiati sono costretti spesso a vivere in alloggi collettivi dei centri di accoglienza, Berlin Mondiale è stato ideato con l’ambizione di rompere questo isolamento per invitarli a unirsi alla città come membri effettivi della società, in cui si ritrovano ora a risiedere. Attraverso questi incontri nascono nuove possibilità per istituzioni culturali e centri di accoglienza, le quali  vanno oltre le collaborazioni creative per contribuire a migliorare le condizioni di vita dei rifugiati a Berlino.
 
Il progetto ha preso avvio nel 2014 su idea di Dorothea Kolland, già dirigente alla Cultura del distretto di Neukölln e da sempre impegnata nel sostegno e nella diffusione di politiche culturali incentrate sul tema dello scambio interculturale. Inizialmente i membri aderenti alla rete erano 13 per 7 tandem, nel 2017 il numero dei membri è salito a 50.
 
Berlin Mondiale non è quindi un ente o organizzazione con una sua propria ragione sociale, quanto un progetto gestito da Kulturnetwerk Neukölln e V., fondazione che agisce su base progettuale per conto dello stesso distretto di Neukölln, quartiere storicamente sensibile all’accoglienza dei migranti e con una forte componente di famiglie e persone di seconda e terza generazione, soprattutto turca e araba.
Il progetto afferisce direttamente al Consiglio di Berlino per le arti (Rat für die Künste Berlin), ed è sostenuto dal Consiglio dei Rifugiati a Berlino (Flüchtlingsrats Berlin e. V.), associazione fondata dal Senato di Berlino, Segretariato della Cultura e dell'Europa (Senatsverwaltung Kultur und Europa / Kulturprojekte Berlin Im Rahmen des Masterplans Integration und Sicherheit).
 
Dal 2015 ne è project manager Sabine Kröner insieme a Kristine Stang.
 
Come sei  arrivata a  Berlin Mondiale?
Il 2015 è stato un anno importante per la questione dei rifugiati a Berlino (in generale dovuto alla cosiddetta “Rotta Balcanica” che aveva portato la Germania ad accogliere 1.200.000 profughi e richiedenti asilo). Il progetto necessitava una figura con competenze sulle politiche culturali di integrazione e non solo di formazione artistica. Mi sono occupata nel mio dottorato in Scienze Politiche soprattutto delle politiche rivolte ai migranti dall’Europa dell’Est, in particolare dalla Polonia e avevo già collaborato con Kulturnetwerk Neukölln e V. Mi è stata pertanto fatta la proposta di condividere questo percorso con Kristina Stang, che ha una formazione artistica avendo soprattutto lavorato in teatro. Il nostro “Tandem” funziona bene perché riusciamo ad integrarci come competenze professionali, un po’ come avviene per le partnership avviate con il progetto.
 
Come vengono stabilite le partnership in tandem tra due istituzioni?
Lo strumento fondamentale è per noi costituito da una mappa dell’intera città di Berlino, comprese le cittadine immediatamente limitrofe. Qui identifichiamo per primi i centri di accoglienza o gli stabili con alloggi assegnati a famiglie di esiliati. Sono sovente ubicati nelle aree più periferiche della città, in quartieri spesso con problematiche sociali non indifferenti. Cerchiamo di sviluppare una connessione con le istituzioni culturali direttamente raggiungibili con i mezzi pubblici e quindi analizzando anche la rete dei trasporti pubblici. Proprio per aiutare queste persone a vivere la città senza un ulteriore stress di disorientamento. Bisogna anche tener conto che molti dei progetti hanno a che fare con bambini, adolescenti e donne. C’è una necessità soprattutto da parte dei giovani e dei bambini a voler uscire da un luogo vissuto come coercitivo e sovente molto stressante e sovraffollato, dove non esistono praticamente spazi propri. Quindi cerchiamo di spingere le istituzioni culturali a sviluppare le attività direttamente nella loro sede, anche se ci sono ovviamente progetti che vengono svolti dentro i centri di accoglienza.
Cerchiamo di far dialogare le istituzioni culturali e i centri di accoglienza nel rispetto delle reciproche competenze: chi lavora direttamente a contatto con gli aspetti sociali della migrazione e dei rifugiati è in grado di portare le istanze dei gruppi assistiti, le quali permettono all’istituzione culturale di ideare una proposta in grado di essere accolta e partecipata. Quindi cerchiamo di favorire la combinazione di diverse competenze nella realizzazione delle attività svolte da questi tandem: competenze artistiche, pedagogiche, psicologiche e sociali.
Ogni tandem ha a disposizione per progetto presentato 5.000 euro, in genere suddivisi in 3.000 per gli artisti, 1.000 dati dal Job Center per i rifugiati, 1.000 per traduzioni e materiali dei workshop.
La maggior parte delle attività si rivolge a bambini e adolescenti ed è molto importante sottolineare che sono aperte a tutti, non solo destinate ai rifugiati, proprio per facilitare una maggiore conoscenza e scambio relazionale tra chi è già inserito nel tessuto cittadino e chi non lo è ancora. Rispetto alle donne, c’è l’esigenza di aiutarle ad uscire dai centri attraverso attività che sovente sono incentrate sulle capacità creative manuali o sullo Storytelling. Tra questi progetti ne segnalo in particolare uno, che secondo me ha avuto un buon successo:  promosso da Kostüm Kollectiv di Sophien Saele, il progetto ha permesso a un gruppo di donne rifugiate di lavorare come sarte o creatrici di costumi teatrali in collaborazione con colleghi e colleghe dell’atelier.
 
Come si è evoluto il progetto in questi tre anni?
Intanto si è ingrandito molto: dai 7 tandem degli esordi ci troviamo a gestire le partnership in tandem suddivise tra 50 membri.
Ma questo non è detto che possa durare: la gestione dipende ovviamente dai fondi che il Senato di Berlino ci ha dato per implementare gli scopi della rete. Ma le imminenti elezioni politiche stanno portando a una certa diffidenza nei confronti di un progetto rivolto perlopiù all’integrazione dei rifugiati. Ultimamente il mio lavoro è proprio di parlare con le componenti politiche del Senato per far comprendere loro la validità di Berlin Mondiale, che finora è stato molto sostenuto e ha avuto ottimi risultati sul tessuto culturale cittadino. Nel caso di una riduzione di fondi, ci stiamo attrezzando per mantenere almeno 20 membri, anche se questo comporta una riduzione del suo impatto capillare sulla città.
In genere i politici si lasciano molto sedurre dall’idea di usare l’arte come soluzione attrattiva per affrontare certi aspetti sociali dei quartieri, ma un artista non è un assistente sociale. E in questi casi sono necessari entrambi.
Sta diventando difficile far capire che Berlin Mondiale può essere uno strumento per avvicinare gli abitanti di un quartiere a conoscere il centro di accoglienza, che qui vi si trova e che spesso genera diffidenza se non repulsione. La vita per le famiglie e le persone che abitano in un centro di accoglienza è veramente molto stressante. Spesso vi rimangono per alcuni anni in una o due stanze al massimo, perché in questo momento in Berlino esiste una carenza di alloggi popolari o a prezzi calmierati. Sono 35.000 le persone che vivono nei centri di accoglienza.
 
Quali sono stati i risultati del progetto rispetto agli obiettivi di integrazione dei rifugiati nella città di Berlino? Le istituzioni culturali vengono da essi vissuti in maniera autonoma o solo in funzione dei progetti per loro realizzati?
Ad essere onesta Berlin Mondiale offre delle opportunità ai rifugiati, ma non siamo poi noi a garantire il proseguo del processo di integrazione e nemmeno quello dell’autonomia rispetto al rapporto con le istituzioni culturali della città.
Quello che posso dire invece è che ci stiamo muovendo molto nell’integrare artisti e intellettuali richiedenti asilo all’interno delle organizzazioni culturali in un rapporto paritario tra colleghi, promuovendo anche occasioni di incontri professionali e rendendoli parte attiva delle attività culturali organizzate nell’ambito dei tandem. Le istituzioni culturali più sensibili e con una visione più ampia non aprono solo le porte ai progetti, ma cercano anche di rapportarsi come colleghi.
 
In un’analisi SWOT di Berlin Mondiale, secondo te quali sono i suoi punti di forza e di debolezza, le opportunità e i limiti?
Il suo punto di forza è sicuramente quello di essere un network, che non viene percepito come competitore. Il suo punto debole coincide anche con il suo limite di essere un progetto, che deve ricontrattare alla fine dell’anno il sostegno per continuare a procedere. Ma come progetto ha dimostrato sul serio di avviare un processo di assimilazione dei rifugiati e questa è la sua grande opportunità.
 
Quali sono gli aspetti del progetto che tu vorresti migliorare in qualità di project manager?
Uno tra tutti: sviluppare meglio gli aspetti organizzativi. Poi mi piacerebbe coinvolgere nuove figure artistiche da portare nelle istituzioni, possibilmente con un background di migrazione.
 
Come vedi il progetto nel futuro?
 Lo vedo come una piattaforma flessibile, che riesce ad attrarre i giovani (rifugiati e non), gli artisti di varie discipline, con anzianità di esperienze differenti (dagli esordienti a quelli già affermati) e anche con background di migrazione, istituzioni culturali in relazione con altri attori più coinvolti su versante sociale (gli educatori dei centri, gli psicologi ecc.) o amministrativo (ad esempio i Job Center) al fine di creare autonomamente percorsi progettuali.

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