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Beni culturali ebraici. Il fascino che esercita ciò che non si conosce

  • Pubblicato il: 14/01/2015 - 22:29
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI PER LA CULTURA
Articolo a cura di: 
Catterina Seia
Sinagoga del periodo romano, Bova Marina (RC)

DD: Il nostro Ente è stato costituito nel 1986 dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, con lo scopo di promuovere la conservazione e la valorizzazione dello straordinario patrimonio, di proprietà delle Comunità medesime, che testimonia una presenza ebraica di 2.200 anni in Italia.

Un patrimonio rappresentato dalle Sinagoghe di epoca romana, a Ostia Antica e a Bova Marina, dalle catacombe ebraiche di Roma e di Venosa, dal miqvé (bagno rituale) di epoca medioevale ricavato in una cisterna bizantina dell’isola di Ortigia a Siracusa, dalle decine di piccole Sinagoghe nel cuore dei vecchi ghetti senza alcun segno distintivo all’esterno, fino ai grandi Templi dell’Ottocento e del Novecento, monumenti all’orgoglio dell’emancipazione e all’ottimismo del periodo post-risorgimentale, con i loro pregevoli arredi e oggetti di culto, di differenti epoche e stili.

Non minore importanza è quella rivestita dalla fitta rete dei cimiteri ebraici che, per la loro antichità, il loro valore artistico e le informazioni ricavabili dalle lapidi, rappresentano un patrimonio fondamentale per la conoscenza della presenza ebraica in Italia e per la stessa storia del Paese.

Infine una preziosa testimonianza è quella fornita dagli archivi e dalle biblioteche, ricche di manoscritti e di volumi pubblicati in Italia dalle prime stamperie in caratteri ebraici d’Europa.

Un patrimonio tutelato anche ai sensi dell'Intesa che regola i rapporti tra lo Stato italiano e l'Unione delle Comunità, che la Fondazione ha per obiettivo istituzionale di conservare e valorizzare. Valorizzare significa fondamentalmente anche far conoscere questi beni, per far conoscere, attraverso di essi, la storia e la cultura del popolo ebraico, un'entità viva e molto vivace in Italia, anche se di dimensioni ridottissime.

Quali dimensioni ha la popolazione ebraica italiana?

Sebbene nelle varie inchieste si raccolgano anche risposte che indicano una consistenza che varia da diverse centinaia di migliaia fino a 2-3 milioni di membri, in realtà l'intera comunità ebraica italiana è composta soltanto da 25-30.000 persone.

Presenze maggiori in altri Stati. Ci sono fondazioni analoghe?

La situazione a livello internazionale vede operare realtà molto diverse, rappresentate più che altro da Fondazioni "grant making", mentre la nostra Fondazione ha compiti più squisitamente operativi ed è anzi "grant seeking". Tra le principali operanti in Europa va senz’altro menzionata per la sua importanza la Rothschild Foundation, creata dalla grande famiglia di origine tedesca, che finanzia operazioni di restauro e di conservazione del patrimonio, sostiene l’attività di Musei, archivi e biblioteche, nonché studi e ricerche. Negli USA ci sono Fondazioni e Comitati che fanno massa critica su grandi interventi di restauro. Proprio nelle scorse settimane Venetian Heritage ha lanciato da New York una grande operazione di fundraising internazionale per sostenere il programma di restauro delle sinagoghe e del Museo Ebraico di Venezia, in vista del 2016, anno delle celebrazioni dei 500 anni dell’istituzione del ghetto (ovvero di quel luogo, “getto”, nel quale erano ubicate le fonderie e all’interno del quale vennero costretti a vivere tutti gli Ebrei della città; nome poi divenuto emblematico per indicare i luoghi in cui gli Ebrei vennero concentrati in Italia e in altri Paesi d’Europa e successivamente le più diverse situazioni di emarginazione di gruppi etnici).

La nostra Fondazione, che proprio per tale motivo ha tenuto la sua ultima riunione di Consiglio a Venezia, collabora all’importante progetto promosso dal Comitato presieduto dal Presidente della Comunità ebraica della città, Paolo Gnignati, e coordinato dal professor Shaul Bassi dell’Università Ca’ Foscari, che prevede, accanto ai restauri, una grande mostra, in collaborazione con i Musei Civici veneziani, a Palazzo Ducale, a cura della professoressa Donatella Calabi, direttrice del Comitato Scientifico del Cinquecentenario.

Ritornando alla vostra Fondazione, qual è la governance?

Il Consiglio della Fondazione è nominato dal Fondatore, ovvero l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che chiama a farne parte persone, ebree e non ebree, dotate delle diverse competenze necessarie e provenienti dalle diverse aree geografiche del Paese. Nell’attuale Consiglio, insediatosi nel 2013, accanto a me operano i due Vice Presidenti, Annie Sacerdoti, di origini napoletane ma residente da molti anni a Milano, autrice del fondamentale libro «Guida all'Italia ebraica», compendio di tutti i beni culturali ebraici, e l’architetto fiorentino Renzo Funaro, che si è occupato dei restauri delle principali Sinagoghe e cimiteri della Toscana. E poi l’architetto Luca Zevi, progettista del Museo della Shoah di Roma, la direttrice del Museo di Palazzo Venezia a Roma, Andreina Draghi, l’architetto fiorentino Alberto Boralevi, esperto di tessili e tappeti, lo storico veneziano Gadi Luzzatto Voghera, l’architetto bolognese Andrea Morpurgo, autore del recente volume sui cimiteri ebraici in Italia, e il manager triestino Roberto Cerniani. Nell’Organo di controllo, nominata, in questo caso, dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, siede poi Micaela Procaccia, dirigente della Direzione Generale degli Archivi del Ministero, con profonde competenze sulla storia degli Ebrei italiani.

Quali le linee strategiche del Suo mandato, assunto lo scorso anno?

Una delle priorità fondamentali è rappresentata dall’aggiornamento della catalogazione del patrimonio, attualmente in corso in collaborazione con l’ICCD, l'Istituto per il Catalogo e la Documentazione del MIBACT, diretto da Laura Moro. Oggi la catalogazione risale alla fine degli anni ‘80, ancora ai tempi dei "giacimenti culturali" del Ministro De Michelis (in SIGEC, con le schede ARS).

La nuova catalogazione, nei nostri obiettivi, dovrà essere funzionale alla divulgazione, affinché la banca dati del patrimonio culturale ebraico, oltre a venire ovviamente messa in primis a disposizione delle Soprintendenze, per consentire loro di esercitare nel migliore dei modi la funzione istituzionale di tutela, possa anche rendere fruibile la conoscenza dei beni culturali ebraici a tutti gli studiosi e, più in generale, a tutti gli interessati.

Questa catalogazione, che quindi necessariamente dovrà essere open data, troverà la sua sede naturale sul nuovo portale, in via di costruzione, della Fondazione.

In questa operazione stiamo procedendo, attraverso un proficuo scambio di idee e di esperienze, in una significativa interlocuzione con un’altra minoranza religiosa, quella Valdese e Metodista, con la cui Commissione Beni Culturali (che si avvale della collaborazione di Daniele Jalla, Presidente di ICOM Italia) sono in corso contatti per l’adozione di una comune piattaforma informatica per la schedatura del patrimonio.

Come accendere l’interesse delle comunità locali a comprendere la cultura ebraica?

Il patrimonio deve essere strumento di identità e di coesione della comunità ebraica in primis, ma naturalmente anche strumento di narrazione e interpretazione per tutta la cittadinanza.

In questa prospettiva stiamo cercando di mettere a punto programmi stimolanti, come quello rappresentato da itinerari culturali ebraici nelle diverse Regioni italiane. Per esempio, nel Piemonte, una Comunità ebraica attiva è presente soltanto a Torino e, in dimensioni molto più ridotte, a Vercelli e a Casale Monferrato. Nei secoli passati, tuttavia, una presenza ebraica qualitativamente significativa si è registrata anche in città quali Chieri, Carmagnola, Saluzzo, Cuneo, Mondovì, Fossano, Moncalvo, Cherasco, Asti, Alessandria, Biella, centri che conservano testimonianze architettoniche e storico artistiche di grande interesse, che hanno beneficiato di un importante programma di restauri negli ultimi anni (grazie a contributi concessi da Enti Locali e soprattutto da Fondazioni di origine bancaria, tra le quali un ruolo di primo piano è stato svolto dalla Compagnia di San Paolo). Occorre ora mettere in atto una conservazione programmata e varare un circuito delle Sinagoghe delle diverse Regioni, capace di attrarre visitatori dall’Italia, dagli altri Paesi europei, dagli Stati Uniti e da Israele.

Un’altra modalità di divulgazione della cultura ebraica è rappresentata dalla realizzazione di eventi espositivi (e di manifestazioni culturali a esse collegate). Abbiamo iniziato questo percorso lo scorso anno con un'operazione molto interessante alla Galleria d'Arte Moderna di Roma Capitale, sulle pittrici ebree del Novecento, che ha portato alla conoscenza di un vasto pubblico 150 opere di quelle artiste, come Antonietta Raphael Mafai, Paola Consolo, Eva Fischer, Gabriella Oreffice, Adriana Pincherle (sorella di Alberto Moravia, il cui vero nome era infatti Pincherle), Silvana Weiller, che sono state in grado di trasformare una condizione di minorità sociale in una ragione di affermazione e di indipendenza creativa, contribuendo a valorizzare, insieme alla loro dimensione privata, anche la vita culturale del nostro Paese. Accanto a loro alcune valenti pittrici attive nella Capitale agli inizi del Novecento, molte delle quali assidue frequentatrici dello studio di Giacomo Balla: Corinna e Olga Modigliani, Annie e Lilly Nathan, Wanda Coen Biagini, Amalia Goldmann Besso, Pierina Levi e Amelia Almagià Ambron. Infine abbiamo inteso richiamare l’attenzione su una personalità torinese, che è stata spesso oscurata da una sorella gemella molto più famosa: Paola Levi Montalcini, artista straordinaria che merita indubbiamente di essere riscoperta e valorizzata.

I riscontri avuti da parte di pubblico e di critica sono stati molto buoni; inoltre il catalogo della mostra ha vinto il primo premio della sezione Arti visive del XV° Premio di scrittura femminile «Il Paese delle donne».

I prossimi passi?

Siamo prossimi all’inaugurazione di una nuova mostra, che si terrà a Torino dal 12 febbraio al 6 aprile: «Judaica Pedemontana», che presenterà per la prima volta al pubblico lo straordinario fondo di volumi ebraici antichi della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino. Fin dall'epoca di Vittorio Amedeo II, i Savoia, desiderando che la Biblioteca fosse guidata da persone dotte e di mente aperta, vollero che i prefetti della Biblioteca, di nomina regia, venissero scelti tra professori universitari, spesso ordinari nella disciplina di Sacra Scrittura e lingue orientali. In tal modo vennero acquistati nei secoli manoscritti e libri a stampa ebraici di grande pregio, fra cui spiccano numerosi incunaboli e cinquecentine. I volumi a stampa dei secoli XVI-XVIII, meno conosciuti dei manoscritti e degli incunaboli, fortunatamente vennero risparmiati dall'incendio del 1904, perché collocati in sale non attaccate dal fuoco. In vista della mostra pergamene, carte e legature dei volumi più preziosi sono state ora restaurate, grazie a un contributo della Fondazione CRT. Accanto ai volumi verranno esposti argenti e tessuti ebraici piemontesi del Settecento e Ottocento, provenienti da collezioni di Istituzioni e di privati.

Nell’ambito della mostra, il 27 marzo, si terrà un Colloquio internazionale di direttori di biblioteche europee, che posseggono fondi ebraici antichi, che intende approfondire un tema di grande interesse e porre le basi per costruire una nuova opportunità di collaborazione culturale a livello internazionale.

La Fondazione ha poi concesso il proprio patrocinio e collabora a una straordinaria mostra, promossa dal Centro Internazionale di Studi Primo Levi (presieduto da Ernesto Ferrero e diretto da Fabio Levi, e di cui io ho l’onore di essere Vice Presidente), che si inaugurerà il prossimo 21 gennaio, in occasione del settantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz, a Torino, nella prestigiosa sede di Palazzo Madama, su «I mondi di Primo Levi». La mostra, che ha ottenuto l’alto patronato del Presidente della Repubblica, descriverà, in modo innovativo e capace di attrarre un grande pubblico, specie di giovani, non soltanto il ruolo di Levi come testimone della Shoah, ma anche quello, non meno importante, di scrittore, chimico, scienziato, divulgatore, di un uomo, quindi, che attraverso la scrittura ha saputo circumnavigare diversi mondi decisivi per l’esperienza umana del Novecento, che nessuno è stato in grado di comprendere e raccontare come lui.

Venezia, Roma, Torino. Verranno coinvolte altre città?

Certamente. L’obiettivo è quello di coinvolgere le diverse realtà del nostro Paese. Così nel prossimo mese di febbraio parteciperemo, insieme alla Comunità Ebraica di Napoli, alla presentazione del catalogo della mostra, patrocinata dalla Fondazione, sui 150 anni di vita di quella Comunità, ospitata nella sede dell’Archivio di Stato napoletano.

Ma già da ora stiamo lavorando a una importante iniziativa, che si terrà a Firenze nel novembre del 2016, in occasione del cinquantenario dell’alluvione del 1966, che danneggiò gravemente i volumi ebraici antichi, trasportati quindi a Roma per essere asciugati e restaurati. Per l’occasione completeremo il restauro dei volumi e li faremo tornare a Firenze, dove saranno esposti in una grande mostra alla Biblioteca Nazionale Centrale, intorno alla quale verranno promossi convegni e pubblicazioni.

Come finanziate la vostra progettualità?

A parte i modestissimi rendimenti del piccolo fondo patrimoniale, essenzialmente con attività di fundraising da parte di Enti, Fondazioni e privati, ai quali riconosciamo i benefici fiscali per la nostra natura di onlus. In questa fase stiamo anche sviluppando la nostra partecipazione a bandi di Fondazioni internazionali interessate alla conservazione dei beni culturali nel nostro Paese, nonché a programmi dell’Unione Europea per progetti in collaborazione con partner di altri Stati membri. Stiamo anche collaborando con il costituendo Comitato per la candidatura della rete dei cimiteri ebraici europei alla lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO.

Poche forze a disposizione ma idee chiare, competenze e una strategia che parte dalla volontà di fare sistema per far conoscere il patrimonio culturale ebraico, e quindi la storia e la cultura degli Ebrei, con il fine ultimo di promuovere occasioni di conoscenza reciproca e di dialogo costruttivo tra le diverse componenti della società italiana.

www.beniculturaliebraici.it

 

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Dario Disegni è Presidente della Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia.

Dopo essersi laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Torino (1972) e aver lavorato (1973-76) come ricercatore alla SORIS, Società d ricerche economiche di Torino, è entrato nel 1976 all’Istituto Bancario San Paolo di Torino, dove fino al 1991 ha ricoperto diversi incarichi direttivi al Servizio Studi, alla Divisione Relazioni Esterne e al Servizio Relazioni Internazionali. Dal 1992 al 2010 ha operato nella Compagnia di San Paolo, nella quale ha ricoperto gli incarichi di Responsabile dell’Area Cultura, Arte e Beni Ambientali e del Coordinamento Relazioni Esterne e Istituzionali. Dal 2002 al 2013 ha ricoperto anche l’incarico di Segretario Generale della Fondazione per l’Arte della Compagnia di San Paolo (ora Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura). Nel 2013 ha assunto la Presidenza della Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia. Nello stesso anno è stato anche nominato Presidente della Fondazione Mangini (Museo Mangini-Bonomi) di Milano. E’ inoltre membro del Consiglio della Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino, del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano e di diverse altre Istituzioni culturali, tra le quali il Centro Internazionale di Studi Primo Levi, di cui è Vice Presidente. Ha rivestito infine importanti incarichi nel mondo internazionale delle Fondazioni, tra i quali la Presidenza dello European Foundation Centre (EFC) di Bruxelles e quella dello European Cultural Laboratory (LABforculture) di Amsterdam.

Per saperne di più

Consistenza del patrimonio architettonico ebraico in Italia

 

Per concentrarci sulle Sinagoghe presenti nel nostro Paese, ne esistono una settantina, costruite tra il Medioevo e il XIX secolo, oltre alle due prima ricordate, che risalgono al periodo romano (Bova Marina ed Ostia Antica). Questi edifici, nella loro varietà, raccontano la storia dei diversi periodi e delle diverse località in cui vissero gruppi ebraici.

Durante l’epoca dei ghetti le Sinagoghe non dovevano essere visibili dall’esterno né avere finestre che guardassero fuori dalle strade del ghetto, per cui, come in Piemonte, esistono numerose sinagoghe completamente nascoste, realizzate anche in abitazioni private (Mondovì o Cherasco), sempre anonime e irriconoscibili all’esterno, ma riccamente decorate all’interno (Casale Monferrato), secondo gli stili in voga all’epoca (barocco, rococò, neoclassico).

Con l’emancipazione gli Ebrei, nell’ebbrezza della libertà e dell’uguaglianza conquistate, vollero che le loro Sinagoghe entrassero a far parte del panorama cittadino, fossero ben visibili da tutti e importanti; così si rivolsero agli architetti più alla moda dell’epoca, come Luca Beltrami a Milano o come Alessandro Antonelli, cui venne commissionata la Sinagoga di Torino, quella Mole Antonelliana, la cui storia è invero singolare. La costruzione iniziò nel 1863, ma nel 1869 venne interrotta per gravi divergenze tra la Comunità e l’architetto, che pretendeva di innalzare l’edificio fino a 113 metri, ben oltre i 47 proposti inizialmente, e che fu quindi costretto a terminare i lavori con un tetto piatto provvisorio a circa 70 metri di altezza. Nel 1873 la Comunità, preoccupata per i problemi strutturali dell’edificio e il consistente aumento dei costi, barattò l’opera con il Comune di Torino, che le cedette un terreno nel quartiere San Salvario per edificare l’attuale Sinagoga e che si fece carico dei costi per il completamento della costruzione della Mole, destinata dalla Città a monumento in onore di Vittorio Emanuele II e in seguito a diverse altre funzioni, fino all’attuale di sede del Museo Nazionale del Cinema.

A lungo si discusse alla fine dell’Ottocento sul tipo di architettura adatto a una Sinagoga e, non essendoci validi modelli di riferimento, gli architetti, pensando all’attaccamento ebraico a Gerusalemme, finirono per lo più per optare per lo stile moresco (come per la Sinagoga di Torino, inaugurata nel 1884, poi in gran parte distrutta da un bombardamento alleato nel 1942 e ricostruita nel medesimo stile nel 1949; e per quelle di Vercelli, Firenze, Trieste e Roma). Cambiarono anche la disposizione degli arredi interni, a imitazione delle Chiese: la tevah (pulpito), tradizionalmente al centro, passò davanti all’aron (armadio dove sono conservati i rotoli della Torah), lasciando alle spalle i fedeli (anche se va osservato come oggi si manifesti in molti casi un ritorno alla collocazione tradizionale).

 

  • Il Piemonte è la regione in cui sono concentrate le più interessanti sinagoghe barocche edificate all’epoca dei ghetti all’interno delle case (come Biella, Carmagnola, Casale Monferrato, Cherasco, Mondovì, Saluzzo): si tratta di sale non identificabili dall’esterno, che rivelano all’interno affreschi e arredi di notevole rilievo artistico. Nella stessa regione alcune antiche sinagoghe (come Asti e Ivrea) hanno subito ampliamenti e trasformazioni dopo il 1848, in seguito all’emancipazione concessa dal re Carlo Alberto, mentre altre (come Alessandria, Torino e Vercelli) sono state costruite ex novo in forma monumentale, spesso già sovradimensionate al nascere rispetto alla consistenza della popolazione ebraica residente in quelle città. Tra le sinagoghe più antiche, in gran parte restaurate negli ultimi anni quella di Casale Monferrato, in uso ininterrotto dal 1599, è oggi Monumento nazionale.
  • La Lombardia presenta tre centri di rilievo: Milano, Mantova e Sabbioneta. La Sinagoga centrale di Milano (inaugurata nel 1890) ha avuto un recente restauro nel 1997; quella di Mantova è stata inaugurata nel 1902, copia fedele della Norsa Torrazza (1513), di cui conserva gli arredi e le iscrizioni (questa Sinagoga, insieme a quella di Sabbioneta, ha subito recentemente danni a causa del terremoto).
  • In Liguria la Sinagoga di maggior rilievo è quella di Genova, inaugurata nel 1935, in epoca fascista.
  • In Veneto le cinque Sinagoghe di Venezia (le Scole Canton, Italiana, Grande Tedesca, Spagnola e Levantina), sono tra i monumenti ebraici più conosciuti al mondo e sono attualmente, insieme al Museo ebraico, oggetto di un importante programma di restauri in vista del 500° anniversario dell’istituzione del Ghetto, avvenuta nel 1516. Nella regione sono anche da segnalare la sinagoga di Padova, in funzione dal 1548, e quella di Verona, inaugurata nel 1864.
  • Nel Trentino Alto Adige l’unica Sinagoga esistente è quella di Merano, che ha di recente realizzato un museo espositivo.
  • Nel Friuli Venezia–Giulia la più importante è la monumentale Sinagoga di Trieste, inaugurata nel 1912 e in uso. La Sinagoga di Gorizia, originaria del XVII secolo, ma ricostruita dopo la II guerra mondiale, è oggi un museo.
  • In Emilia Romagna si trova una seconda forte concentrazione di Sinagoghe: Bologna, Carpi, Ferrara, Modena, Parma, Reggio Emilia, Soragna. Alcune di queste, come Ferrara, sono molto antiche, in uso dal 1422, le altre sono di epoca successiva.
  • In Toscana il Tempio monumentale di Firenze data dal 1882, mentre le vecchie Sinagoghe del ghetto andarono distrutte con il risanamento dell’area. Nella regione vanno anche segnalate le Sinagoghe di Siena (inaugurata nel 1786), Pisa (ricostruita nel 1863), Pitigliano (rifatta come copia nel 1995) e quella moderna di Livorno, costruita nel 1962, dopo che l’antica splendida Sinagoga, simile a quella portoghese di Amsterdam, venne distrutta dai bombardamenti della II guerra mondiale.
  • Le Sinagoghe delle Marche, che fanno capo ad Ancona (l’unica in uso), sono quelle di Pesaro, Senigallia ed Urbino.
  • Nel Lazio il grande Tempio Maggiore di Roma fu inaugurato nel 1904. Sono andate purtroppo distrutte, durante il risanamento del quartiere, le Cinque Scole del vecchio ghetto. Va poi segnalata per la sua importanza, la già menzionata Sinagoga di Ostia Antica, che risale al I sec. d.C.
  • In Campania la Sinagoga di Napoli è in uso dal 1915.
  • Nelle altre regioni dell’Italia meridionale e insulare gli edifici di alcune Sinagoghe, come quelle di Trani, Cagliari o Messina, sono sopravvissuti perché trasformate in Chiese in seguito ai decreti di espulsione che dal XVI secolo interessarono il Meridione. Va tuttavia segnalata l’interessante circostanza che la Scola Nova di Trani è recentemente ritornata Sinagoga.

 

 

JEWISH AND THE CITY- Festival internazionale di cultura ebraica. Ponte tra culture

Nel mese di settembre Milano ha ospitato Jewish and the City, il Festival internazionale di cultura ebraica, e un intero quartiere, intorno alla Sinagoga centrale, si è trasformato nel centro pulsante di una millenaria cultura che, lungi dall’essere museificata, è stata proposta alla città con vivacità attraverso incontri, dibattiti, lectiones magistralis, concerti, balli, performance, lezioni di cucina, momenti spettacolari che coinvolgono i cittadini nel cuore e nella mente.

Nato nel 2013, Jewish and the City si è subito affermato come un importante momento di sentita apertura e scambio culturale, oltre 30.000 partecipanti nelle due edizioni, 200 relatori, tra cui pensatori e rabbini internazionali, artisti, musicisti e scrittori.

Promosso dalla Comunità Ebraica di Milano in collaborazione con il Comune di Milano, il Festival è sostenuto dalla Regione Lombardia, da Fondazione Cariplo, Intesa Sanpaolo, Rigoni di Asiago, Allianz, Banca Monte dei Paschi di Siena e da un gruppo di sostenitori del festival, insieme alla collaborazione di Rai e Fondazione Corriere della Sera, tutti consapevoli dell’importanza di affermare a Milano un evento multiculturale di questa portata.

Il Festival, ogni anno tematico, nel 2013 si è sviluppato intorno al Sabato ebraico, lo Shabbat, mentre nel 2014 è stata la Pasqua ebraica, Pesach, a essere il filo rosso intorno al quale si è tramata la struttura del festival e grazie al quale tutti hanno potuto comprendere il significato più profondo e antico di una festività che è eco di concetti fondanti la nostra cultura come la libertà, lo straniero, il racconto.

«Il percorso, il pensiero, la tradizione del popolo ebraico si misurano con la letteratura, la filosofia, la musica, i molti linguaggi dell’arte: grazie a Jewish and the City questo intreccio tra storia e futuro di una civiltà millenaria viene dipanato e raccontato al pubblico milanese, che ha dimostrato, con la grande e attenta partecipazione, di saper riconoscere la propria identità in ciascuno dei contributi che le tante culture che abitano Milano hanno apportato nel corso della sua storia, e ancora nel suo presente», ha dichiarato Filippo Del Corno, Assessore alla Cultura del Comune di Milano.

Migliaia di persone hanno infatti compreso a condiviso lo spirito di una manifestazione nata con l’obiettivo di costruire un terreno culturale comune all’interno del quale rappresentare le proprie differenze e specificità. In 15.000 hanno preso parte, con momenti di grande commozione e partecipazione grazie a performance che hanno letteralmente messo intorno a un tavolo comune persone di diverse culture e tradizione. La musica ha poi fatto da ponte tra l’arte europea del ventesimo secolo, la diaspora ebraica e il contesto delle guglie del Duomo di Milano che osservavano silenti le note dei violini dedicati a Marc Chagall sulle finestre di Palazzo Reale.

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