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Art & Social Change: curare i curanti

  • Pubblicato il: 15/12/2017 - 00:00
Autore/i: 
Rubrica: 
CULTURA E WELFARE
Articolo a cura di: 
  Elisa Fulco

Dall’urgenza di sostenere e formare diversamente il personale socio - sanitario deriva l’intuizione del progetto europeo Art & Social Change: far sperimentare agli stessi operatori la pratica artistica come metodologia innovativa in grado di generare benessere e competenze trasversali,  facilitando la relazione con i pazienti.
 

 Anni fa, quando curavo il progetto Acrobazie (dal 2004 al 2011), che metteva in relazione gli artisti contemporanei con gli autori dell’Atelier Adriano e Michele, ospitato all’interno dell’ospedale psichiatrico Fatebenefratelli di San Colombano al Lambro, l’allora direttore sanitario Govanni Foresti mi segnalava l’importanza del rossetto come indicatore di buon umore (oltre che indice economico). Era un buon segno mi diceva quando le infermiere e il personale dell’ospedale tornava a truccarsi e a prendersi cura di sé. L’immagine del rossetto mi è rimasta dentro e ha lavorato segretamente nel tempo, sino a farmi comprendere che il non aver coinvolto attivamente nel progetto il personale dell’ospedale era stato un errore, un limite del progetto. In fondo, a ben guardare, esisteva uno spazio possibile per immaginare una triangolazione che tenesse insieme i bisogni e i sogni degli operatori con quelli dei pazienti e degli artisti. Si trattava di adottare uno sguardo inclusivo, in grado di riconoscerli tutti come “persone” che, in momenti differenti della propria vita, necessitavano di aiuto, di ascolto e di protezione.
 
La possibilità di curare la parte artistica del progetto europeo Art & Social Change è un pò l’occasione  per girare lo sguardo verso di loro, sperimentando sul campo le opportunità formative che l’arte (non l’arte terapia) può dare oggi, se correttamente applicata al sistema socio- sanitario.

Curare i curanti e dare voce ai pazienti, potrebbe essere questo il testo di un nuovo manifesto per aprire nuovi spazi di collaborazione, in cui mettere creativamente in gioco il personale medico e para medico, come attore chiave nei percorsi di riabilitazione e di cura.
 
Se esiste una letteratura che ha misurato nel tempo l’effetto dell’arte in dialogo con la salute mentale, e il rapporto tra artisti e pazienti, al contrario sono pochissime le esperienze che adottano l’arte contemporanea  come strumento di dialogo paritario tra artisti, pazienti e operatori.  In Italia, le principali case history provengono dal teatro,  e a livello internazionale, anche tra i paesi anglosassoni pionieri nell’utilizzo dell’arte nel sociale, mancano applicazioni sia nel campo delle dipendenze patologiche che della malattia mentale.
 
L’innovazione del progetto europeo Art & Social Change nasce dal mettere al centro l’operatore socio sanitario come destinatario principale di una formazione artistica che ha l’obiettivo di motivare e risanare il dolore, la stanchezza, e il senso di fallimento e di burnout,  che spesso accompagna chi segue giornalmente pazienti cronici, e, nello specifico del progetto, persone affette da dipendenze patologiche in fase di remissione e con doppia diagnosi. 
 
L’intento è sperimentare la pratica artistica, e in particolare l’arte contemporanea, come forma partecipata di action learning, ovvero come relazione attiva e di scambio tra pari,  in grado di suggerire  nuove forme di ascolto di sé, di narrazione e di mediazione dei conflitti. L’obiettivo è di motivare il personale socio sanitario, facilitando e migliorando la relazione con i pazienti, anche grazie alla possibilità offerte dall’arte di trasformare esteticamente il malessere e il disagio.
 
L’idea alla base di Art & Social Change  nasce da Nuccia Cammara dell’ASP di Palermo, dalla sua precedente esperienza come responsabile del progetto “Palermo, uno sguardo a fuoco-Curare con la fotografia(da settembre 2012 al settembre 2013), promosso dall’UOC Dipendenze Patologiche, in cui  venticinque utenti hanno usato la fotografia come forma di empowerment e di racconto creativo di sé stessi e della propria storia. In questa occasione, è emersa con chiarezza  la relazione tra il livello di coinvolgimento e di motivazione dell’operatore nel progetto e la partecipazione o l’astensione dei pazienti e il suo ruolo chiave nel facilitare, o meno, il percorso di guarigione.  Dall’urgenza di sostenere e formare diversamente il personale socio -sanitario deriva l’intuizione del progetto Art & Social Change, quella di  far sperimentare agli stessi operatori la pratica artistica, come se fosse necessario un loro “battesimo” per  spingerli a credere nell’arte come reale strumento di lavoro, e nelle finalità ultime del progetto: curare i curanti, partendo dal bisogno di cura e di espressione che accomuna il personale medico e i pazienti.

Art & Social Change ha come capofila la Lituania, con la Vilnius University (VIKO) e Manoguru, il partner italiano è  La Casa dei Giovani di Bagheria, in partnership con l’ASP di Palermo, l’Inghilterra con le istituzioni Art an Health South West e Portraits of Recovery (a cui si deve la stesura del Recoverist Manifesto ), la francese La Maison de l’Image,  l’istituzione tedesca Institute for Project Support and Competencies Development. 

Il progetto, di durata triennale (2016-2019),  adotta un modello partecipativo basato sullo scambio di esperienze dei paesi partner e sulla creazione in ogni paese di un Peer Learing Group (PLG), un  team collaborativo interdisciplinare composto da artisti,  professionisti della salute e persone con dipendenze in via di recupero. Il PLG ha il ruolo strategico di tenere insieme, in un complesso gioco di mediazione, i diversi punti di vista, dando voce al personale medico, all’artista a e al paziente recuperato con l’obiettivo di co- costruire una metodologia efficace che possa essere replicata con successo anche in altri contesti.

Le linee guida della formazione artistica del progetto europeo sono state affidate all’Italia che ha definito, tra gli altri aspetti, i criteri con cui selezionare gli artisti contemporanei, i parametri con cui stabilire la partecipazione dei pazienti (da quando tempo non devono usare di sostanze), e i requisiti degli stessi operatori (in base ai differenti livelli di motivazione). Tra le indicazioni date,  anche l’importanza di privilegiare luoghi culturali come sede dei workshop (musei, istituzioni culturali, giardini), sia per uscire fuori dal setting dei contesti di cura, che per  sensibilizzare nuovi target alla fruizione culturale di spazi e di collezioni museali.
 
Sono in corso di definizione i parametri di valutazione che misureranno l’impatto del progetto, affidati al partner inglese  Portrait of Recovery (PoRE) di Mark Prest. Sono previsti questionari, interviste, nonché strumenti artistici per raccogliere dati, reazioni, emozioni,  per documentare le diverse fasi del progetto.
 
Da gennaio 2018, si entrerà nel vivo del piano formativo e ogni paese tradurrà le linee guida in una pratica artistica allineata con i diversi piani sanitari nazionali. La proposta italiana del modello formativo europeo risente nell’ideazione della esperienza da me svolta con il progetto Acrobazie,   recuperandone gli aspetti che hanno funzionato e che ne hanno permesso la crescita nel tempo: dall’intuizione di creare rapporti paritari tra tutti partecipanti (nessuna dialettica maestro/allievo), all’individuazione di una parola chiave per ogni edizione del progetto (equilibrio, condivisione, liquidità, identità, santità), che collegando  le opere tra loro ne ha facilitato la comunicazione e il racconto.
 
Ugualmente, il piano di formazione proposto per Palermo recupera la chiave narrativa e, amplificando le potenzialità dello storytelling, dà vita ad un racconto, composto di quattro capitoli, che ha l’ambizione di generare adesione, partecipazione e rispecchiamento nel gruppo. Ad ogni capitolo corrisponde la poetica dell’artista selezionato.

Da gennaio a ottobre 2018, i quattro artisti invitati terranno quattro workshop di tre giorni ciascuno, in diverse sedi culturali palermitane (stakeholder del progetto), lavorando su un tema condiviso, estrapolato dalla propria ricerca: L’ombra per Nico Bonomolo (Ecomuseo. Mare memoria viva); La distruzione per Loredana Longo (GAM, Galleria d’Arte Moderna); La possibilità, per Sandrine Nicoletta (Cantieri Culturali alla Zisa); La trasformazione, per  Anne Clemence de Grolée (Vivaio Ibervillea,  La Vignicella).
 
L’idea è quella del viaggio in cui l’artista conduce il workshop partendo dalla sua storia, dal ruolo che la creatività ha svolto e svolge nella propria esperienza di vita. Le scelte, le difficoltà, gli ostacoli da superare, ma anche i benefici e le soluzioni offerte dall’arte nell’affrontare l’esistenza, permettono l’avvio del racconto. La costruzione dei quattro workshop si basa sulla convinzione che possiamo coinvolgere l’”altro” solo se intercettiamo che cosa lo interessa e lo  muove e, che, soltanto attraverso la sua commozione possiamo trasmettere motivazione e avviare un percorso di trasformazione. Alle storie spetta il compito di costruire senso e memoria, e di legare tra loro le diverse esperienze. Trattandosi di un progetto sperimentale, l’artista scelto, il luogo, l’interazione tra tutti i partecipanti rappresentano delle variabili il cui esito per quanto studiato è incerto. Si tratta ancora una volta di coltivare la fiducia e di affidarsi. Un esercizio che mira a riappropriarsi della creatività come eredità che non vede esclusi, vincitori e vinti.

 
© Riproduzione riservata
 
Ph: Loredana Longo, 2011, Demolition#1 squatter, stampa lambda, 120x80 cm
courtesy Francesco Pantaleone, Palermo