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Altri beni da tutelare

  • Pubblicato il: 20/07/2012 - 15:20
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Michele Dantini
 «Per un’Italia possibile. La cultura salverà il nostro Paese?»

Ci interroghiamo, in questi giorni, sui modi attraverso cui si intenderà procedere alla ricostruzione in Emilia. Si teme che si possa tornare ad adottare, da parte dello Stato, il rovinoso modello delle New Town aquilane. Gli abitanti delle zone colpite chiedono di non essere allontanati dalle loro case ed è chiaro che l’intero tessuto storico-artistico, sociale, industriale debba essere preservato. Esiste la percezione diffusa che l’Italia stia varcando come una soglia di non ritorno. La crisi economico-finanziaria colpisce duramente mentre la classe politica appare incapace di autoriforma.
Alluvioni, frane e terremoti si susseguono con una frequenza inattesa, risultando amplificati, nei rovinosi effetti, da incuria o abusi di ogni tipo inflitti al territorio da decenni.
In «Per un’Italia possibile. La cultura salverà il nostro Paese?» (122 pp., Mondadori, Milano 2012, 12,00) Ilaria Borletti Buitoni, presidente del Fai-Fondo Ambiente Italiano, descrive le tante bellezze paesaggistiche e artistico-monumentali della penisola per constatarne la vulnerabilità: non passa anno, afferma riflettendo sul «male italiano », senza che qualcosa, un edificio pubblico storico, una pala, una chiesa magari «minore » si perda per sempre e il senso di appartenenza comune risulti diminuito. Il breve volume si inserisce nell’attuale discussione sulle «economie della cultura» prendendo posizione per forme qualificate di «sussidiarietà». L’autrice invoca maggiore considerazione per l’eredità, finanziamenti più ingenti al Ministero per i Beni culturali, ampliamento e ricambio del personale di soprintendenza.
Torna, come tanti hanno fatto negli scorsi mesi, a ricordare l’importanza che la «cultura» può avere per lo «sviluppo» se amministrata con efficienza, dedizione, capacità. Conoscitrice dei paesaggi regionali, indaga nelle pieghe della trasformazione e si sofferma sulle campagne, dove abbandono, emigrazione e motorizzazione del lavoro vanno modificando i paesaggi naturali e sociali. Non si può che essere grati al Fai per le iniziative a difesa di questa o quella parte del patrimonio, per le attitudini alle responsabilità e alla cura promosse dai suoi aderenti. Dubitiamo tuttavia a tratti, nel leggere «Per un’Italia possibile», delle retoriche impiegate: gli slittamenti arcadici nella descrizione del paesaggio o della storia d’Italia, l’insufficiente attenzione prestata ai momenti conflittuali o disarmonici, sempre esistiti, l’indulgenza al culto del «bene culturale» avulso e sublimato. Potremmo forse provarci a costruire definizioni più ampie, sociali e politiche, di «bene culturale»? Tra le istanze degne di tutela, ad esempio, con patrimonio e ambiente naturale riteniamo primarie istruzione, ricerca, mobilità sociale, giustizia, talento. Ma, questo, concordiamo con l’autrice, è un momento di emergenza: non è forse il caso di attardarci in soverchie distinzioni.

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