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2018 Anno europeo del patrimonio culturale: cosa vogliamo farne?

  • Pubblicato il: 15/01/2018 - 00:01
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
Valentina Montalto

«Quale tema, in apparenza, più consensuale del patrimonio? Chi potrebbe negare l’importanza di coltivare la memoria del passato, di salvaguardarne i monumenti, le testimonianze più significative? Eppure mai come in questi anni, dietro un superficiale irenismo di facciata (tutti in fila nelle "Giornate del Patrimonio" a visitare castelli e ville patrizie normalmente chiusi al pubblico...), covano tensioni profonde e talora devastanti ». Così il direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles, Paolo Grossi, introduce il numero di Cartaditalia dedicato all’Anno europeo del Patrimonio Culturale, che verrà presentato il prossimo 22 gennaio a Bruxelles.

Cartaditalia è la rivista di cultura italiana contemporanea nata a Stoccolma nel 2008 e dal 2015 pubblicata a Bruxelles in edizione quadrilingue - italiano, francese, tedesco e inglese. L’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles ha ben pensato di combinare le ambizioni di Cartaditalia, che cerca di « cartografare » la cultura contemporanea, con l’occasione offerta dall’Anno Europeo del Patrimonio Culturale di fare il punto sulla situazione del dibattito, politico e scientifico, sul patrimonio.
 
Nasce così un’edizione speciale di Cartaditalia con due poderosi volumi che raccolgono riflessioni di studiosi e specialisti, sotto l’autorevole guida e competenza di Pier Luigi Sacco, professore allo IULM di Milano, consulente del Commissario Europeo per l’istruzione e la cultura Navracsics.
 
Il volume I si apre con contributi a carattere visionario che, da un lato, ci ricordano come la stessa Unione europea sia fondata sul rispetto della «ricchezza della sua diversità culturale e linguistica» e «sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo» (Art. 3 del Trattato sull’UE, comma 3), nonché sul contributo «al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri, nel rispetto della loro diversità regionali e nazionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune».
Dall’altro, suggeriscono la direzione da intraprendere affinché il patrimonio abbia «a che fare con il presente e il futuro ancora più che con il passato» (P. L. Sacco, p. 22). Non solo, infatti, l’Europa «è stata il luogo di incubazione delle prime istituzioni culturali moderne, delle teorie e delle tecniche della conservazione e della salvaguardi e, delle stesse politiche culturali» (p. 20), ma l’Europa, con il suo patrimonio, sta oggi diventando anche una delle più interessanti aree di sperimentazione delle nuove tecnologie (per la conservazione ma anche per la catalogazione e l’accesso al patrimonio) nonché occasione di attivazione di nuove forme di cittadinanza.
 
Un nuovo quadro politico è stato delineato negli ultimi anni per fare attecchire queste nuove radici di cambiamento, a partire dalle « Conclusioni del Consiglio dell’UE sul patrimonio culturale come fonte strategica per un’Europa sostenibile » del 2014 a cui sono seguiti altri documenti dello stesso Consiglio[1], della Commissione europea[2], del Parlamento europeo[3] e del Comitato europeo delle Regioni[4], senza dimenticare le numerosi convenzioni dell’UNESCO e del Consiglio d’Europa. La direzione è segnata, quindi: implementare una prospettiva olistica di patrimonio culturale che metta al centro la persona e la collettività, in linea con la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società (nota come “Convenzione di Faro”). L’Anno Europeo del Patrimonio Culturale vuole essere piattaforma di sperimentazione per questa nuova visione, supportando progetti relativi ai quattro pilastri prioritari dell’Anno: Coinvolgimento, Sensibilità, Protezione e Innovazione.
 
Varie istituzioni come Europa Nostra ed Europeana hanno già avviato iniziative che cercano di rendere tangibile questa visione, come spiegato nel volume.
Trovo particolarmente interessanti e innovativi i programmi di Europa Nostra come «7 Most Endangered», per esempio, realizzato in collaborazione con la Banca europea per gli investimenti e la Banca di sviluppo del Consiglio d’Europa. Si tratta di un programma che aiuta le collettività a usare il patrimonio come generatore di cambiamenti positivi, mettendo insieme partner del settore pubblico e privato. L’assunto di fondo è che il coinvolgimento delle imprese sia uno degli «ingredienti vitali per utilizzare il patrimonio culturale per un futuro migliore dell’Europa» (p. 94).
Il patrimonio, in effetti, occupa già una posizione centrale in molte aziende europee che operano in vari settori, da quello delle specialità alimentari come vini, birre e cioccolato a quello dei manufatti di lusso. «La creazione di sinergie tra le imprese europee e il mondo del patrimonio culturale europeo non farebbe che rafforzare il patrimonio e renderlo più visibile al pubblico e agli investitori, non solo creando nuovi prodotti e stimolando le competenze artigianali, ma anche attraverso una collaborazione con le realtà produttive volta a promuovere una nuova immagine del patrimonio materiale e immateriale e dei siti patrimoniali» (pp. 95-96).
Questa collaborazione è anche ciò che potrebbe aiutare l’Europa a sviluppare narrative nuove che facilitino l’ingresso nel mercato turistico per più città europee e allo stesso tempo cerchino di ridurre quel turismo “intensivo” che mette ogni giorno a rischio il fascino suggestivo di città come Venezia, Dubrovnik e Firenze.
Pienamente in linea con i tempi, inoltre, la campagna « Europeana Migration » che coinvolgerà almeno dieci musei dedicati alle migrazioni nell’organizzazione di eventi e giornate dedicate alla raccolta e alla diffusione di storie di famiglie di migranti. Grazie alle raccolte di documenti sulle migrazioni sulla piattaforma digitale Europeana, l’auspicio è che anche persone che generalmente non partecipano ad attività culturali abbiano l’opportunità di avvicinarsi al tema.
 
Gli ultimi contributi, infine, danno spazio a quelle (legittime) domande e dubbi che possono sorgere ogni qual volta si parli di patrimonio come elemento di identità e di coesione.
Anche se ammetterlo è doloroso, riprendendo le parole di Robert Manchin, Presidente di Culture Action Europe, «abbiamo perso il sentimento di una direzione comune. Poiché dubitiamo delle validità dei nostri percorsi e, di conseguenza, del futuro che desideriamo, sorge la necessità di riconsiderare le origini del cammino sin qui condiviso e di quello che vorremmo in futuro percorrere » e, allo stesso tempo, è proprio « […] La ricerca di certezze morali e l’attaccamento ad esse […] una componente del fascino e della funzione del patrimonio culturale» (p. 142).
Oggi, continua Manchin, la cruda realtà è che c’è molta meno coesione di quanto siamo disposti ad ammettere. C’è dunque bisogno di considerare la dimensione conflittuale che il patrimonio a volte porta con sé, capire come bilanciare interessi diversi – dalla conservazione alla commercializzazione – nonché comprendere come rendere il patrimonio qualcosa di « personale », per ogni cittadino europeo. Le monete dell’Euro, per esempio, sono un piccolo esempio di come il patrimonio sia ancora lontano da noi in quanto riportano dei simboli generici, come ponti, edifici e paesaggi con cui non siamo in gradi di riconoscerci.
 
Per finire in nota positiva, il volume - così come questa breve recensione (e l’invito è a leggere l’intero volume – davvero ricco di spunti) - non vuole scoraggiare gli animi ma piuttosto invita ad affrontare con grande onestà intellettuale la situazione di partenza.
E la situazione di partenza ci dice esattamente questo: siamo un continente che è stato devastato da due guerre mondiali e che da oltre 60 anni vive in pace e prosperità.
Il nostro patrimonio può ricordarci vittorie e sconfitte, a volte scomode. Ma ci ricorda anche la realtà nella sua complessità, realtà che non può essere cancellata ma magari trasformata in maniera intelligente e creativa, in modo da mantenere l’esistenza di punti di vista differenti e trarne insegnamento, ove possibile.
L’Anno Europeo del Patrimonio Culturale forse non sarà la soluzione a un’Europa in declino, ma di certo può rappresentare un serio tentativo di recupero di uno dei mattoncini che abbiamo perso per strada in questi ultimi anni di profonda crisi economica, sociale e culturale: la memoria, da parte dei cittadini europei, di cosa era l’Europa senza Unione e la voglia di ritrovare dei tratti comuni in base ai quali (ri-) costruire un progetto condiviso.
E per il volume II… appuntamento al numero di febbraio de Il Giornale delle Fondazioni!
 
Per richiedere una copia cartacea dei due volumi, si può contattare l’Istituto Italiano di Cultura di BruxellesQui per l’appuntamento del 22 gennaio a Bruxelles.
 
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[1] Conclusioni del Consiglio, del 23 dicembre 2014, sulla governance partecipata del patrimonio culturale, (2014/C 463/01).

[2] Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, del 22 luglio 2014, “Verso un approccio integrato al patrimonio culturale per l’Europa”, COM(2014) 477.

[3] Risoluzione del Parlamento europeo, dell’8 settembre 2015, “Verso un approccio integrato al patrimonio culturale per l’Europa”, (2015/C 195/04).

[4] Parere del Comitato europeo delle Regioni, del 12 giugno 2015, “Verso un approccio integrato al patrimonio culturale per l’Europa”, (2014/2149 INI).