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«Plenipotenziario, in Italia oggi farei così. L’unico nostro vero grande asset è la cultura e la bellezza del territorio»

  • Pubblicato il: 29/06/2012 - 01:50
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Catterina Seia
Emmanuele Francesco Maria Emanuele

La Fondazione Roma si considera è una fondazione di diritto civile, avete deciso di dissociarvi dalle fondazioni di origine bancaria. Quali sono stati i vantaggi di tale scelta, e perché?
La Fondazione Roma è una fondazione di diritto privato, sia perché lo statuto della vecchia Cassa di Risparmio, creata nel 1836 per volontà di Papa Gregorio XVI, da cui essa origina, sanciva in maniera inequivocabile la sua caratteristica di associazione e l’autonomia finanziaria e gestionale di coloro i quali apportarono i capitali per la realizzazione di questa impresa, che seguiva l’identica iniziativa del Monte di Pietà, nato nel 1539 per volontà del Papa Paolo III Farnese, sia per la perfetta rispondenza al portato della sentenza della Corte Costituzionale del 2003. Su questa base, dopo lo scorporo dell’azienda bancaria dalla Cassa di Risparmio, la Fondazione Roma, ha proseguito, nel rispetto delle leggi Amato - Ciampi, un percorso di separazione tra l’istituzione filantropica e quella bancaria, coronato con la quasi totale dismissione della partecipazione azionaria nella banca conferitaria. In coerenza a tale percorso e nel rispetto delle leggi sopra citate, alla quale la Fondazione si è pienamente adeguata, è ricorsa al Tar di fronte al diniego del Ministero del Tesoro di accettare la propria posizione di assoluta diversità dalle altre fondazioni di origine bancaria, che hanno continuato a gestire le banche partecipate, e quindi di non essere più assoggettati al Ministero dell’Economia (assoggettamento che aveva una valenza, in base all’art. 10 della Legge Ciampi, fintantoché avesse detenuto una partecipazione bancaria di controllo e di maggioranza). Il Tar, con un sentenza limpida, ha dato ragione alla Fondazione Roma. Il legislatore, introducendo surrettiziamente, con l’art. 52 del d.l. 31 maggio 2010 n. 78, una norma che nulla aveva a che vedere con il resto del provvedimento (si trattava della legge di stabilizzazione finanziaria) ha allargato la potestà di controllo sulla Fondazione, indipendentemente dalla partecipazione di maggioranza o meno nell’ente bancario, violando con ciò un principio assolutamente valido dell’impianto della norma Ciampi, che aveva sancito come tali fondazioni dovessero liberarsi della partecipazione bancaria e dedicarsi a quell’attività filantropica che era alla base della Legge Amato. Questa sentenza è stata impugnata dal Tesoro al Consiglio di Stato, il quale ha riportato la Fondazione Roma sotto il controllo del ministero dell’Economia. Ma la verità della nostra intuizione è stata incontrovertibile. Nel 2003 avevamo capito che la crisi del sistema bancario era in arrivo, a tal punto che la nostra uscita dalla banca, oltre che per le motivazioni sopra dette, aveva una valenza di carattere economico. Oggi le fondazioni di origine bancaria si trovano tutte ad avere problemi, ostinandosi a fare un mestiere che non è il loro, quello dei banchieri, con le conseguenti presenze negli organi di controllo. Non hanno dividendi e sono costrette a faticosi aumenti di capitale, che a nulla serviranno, poiché, di fronte al vagare dei capitali e dei fondi sovrani, pensare di fronteggiarli con i modesti patrimoni delle fondazioni è risibile.
 
Le Fondazioni bancarie hanno annunciato di avere appena varato un nuovo «codice comportamentale». Lei che cosa ne pensa?
Le enfasi non sono mai positive e in questo caso appaiono molto discutibili. Se si vuole agire non c’è bisogno di fare proclami o enunciare grandi principi. Occorre trasmettere le decisioni all’interno degli statuti. La Fondazione Roma già dal 1999 ha varato il proprio codice per le erogazioni, un codice etico e comportamentale, e soprattutto ha stabilito che non ci possono essere rappresentanze politiche all’interno dell’assemblea e degli organi gestionali, sancendo così l’incompatibilità della sua mission con qualsiasi ingerenza politica. La presenza all’interno degli organi è consentita solo ai rappresentanti della società civile. La «Carta delle fondazioni», recentemente varata dall’Acri (di cui la Fondazione Roma non fa più parte), dice a parole ciò che la Fondazione Roma ha mostrato di aver realizzato con i fatti.
 
Lei sottolinea con orgoglio che la Fondazione Roma è la più importante fondazione di natura associativa e quella con una presenza più capillare sul territorio di riferimento.
È assolutamente vero che è la più rilevante tra quelle di natura associativa, ed è in controtendenza per quanto riguarda la presenza sul territorio rispetto a quanto sta accadendo a livello nazionale, poiché molte fondazioni non sono più in grado di dare risposta ai bisogni del territorio di riferimento, come gli ultimi dati di bilancio hanno ampiamente dimostrato. Basta guardare alle Fondazioni del nord: da quel che si legge sulla stampa (se tali notizie corrispondono al vero, ma non è compito nostro accertarlo) la Fondazione CRT ha 7 milioni di euro di risultato di gestione, la Fondazione Cariplo, per quanto si dice, ha dovuto attingere ai fondi di riserva per mantenere invariato il proprio livello di erogazioni. Alcune fondazioni del nord-est e del centro, e anche del sud, non versano in buone condizioni. Le vicende della Fondazione MPS sono note a tutti. Noi, al contrario, siamo cresciuti nei numeri e nella presenza sul territorio. Il risultato di questo ultimo esercizio è di 52,5 milioni di euro e non abbiamo avuto la necessità di attingere al fondo di stabilizzazione delle erogazioni. Grazie alla sapiente strategia dei suoi vertici, La Fondazione Roma ha saputo realizzatore rendimenti che hanno garantito un trend crescente delle erogazioni, passate dai 101,1 milioni di euro del mio primo mandato, ai 266,9 milioni di euro del secondo. Ci siamo strutturati attraverso fondazioni specialistiche che operano nei settori statutari di intervento, fino a travalicare i confini regionali, per abbracciare l’intero bacino mediterraneo, con l’attività della Fondazione Roma-Mediterraneo, nata nel 2008 con lo scopo di favorire lo sviluppo economico, sociale e culturale dell’area.
 
In concreto quali risultati economici avete ottenuto negli ultimi anni di attività?
Credo che basti il confronto tra i dati dei due miei mandati. Le cifre parlano da sole: i proventi sono passati da 262,3 milioni di euro del primo mandato a 547,6 milioni del secondo. La gestione finanziaria è passata da 194,7 a 421,4 milioni di euro, l’avanzo da 203,3 a 470,8 milioni di euro, l’accantonamento ai Fondi attività istituzionali
da 162,7 a 306,5 milioni di euro. Vorrei ricordare che, anche in anni di crisi, abbiamo ottenuto risultati eccezionali, addirittura il 18 per cento di rendimento dei nostri investimenti finanziari. La nostra gestione finanziari da aprile 1999 rende il 3,9% composto annuo, superiore dello 0,2% al benchmark strategico. Il fondo di tesoreria, con un capitale medio investito di 38,5 milioni, ha reso il 2,9%. Abbiamo investito il 45% in obbligazioni di Paesi sviluppati. Il 15% in obbligazioni area euro indicizzate. Il 5% in obbligazioni Paesi emergenti. Il 30% in azioni. Il restante 5% nel fondo Rendimento assoluto di Sator.
 
Come articolate i vostri interventi? Come agite nel sociale e nella formazione? Qual è il criterio con il quale la Fondazione opera?
La Fondazione applica il modello operativo, che le ha consentito negli anni di sviluppare un’a autonoma attività progettuale, condotta sia in via diretta che in partnership con i soggetti, pubblici e privati, che condividono i suoi scopi. Questo ha permesso la realizzazione di progetti strutturali e dal forte impatto sociale, come l’Hospice per l’assistenza gratuita ai malati con breve aspettativa di vita e ai pazienti affetti da SLA e Alzheimer; la ricerca scientifica con gli studi sulle cellule staminali e il sostegno alla Fondazione Bietti, punto di riferimento e di eccellenza in Italia nel campo dell’oftalmologia; l’istruzione con gli interventi di ammodernamento tecnologico a favore delle scuole statali di ogni ordine e grado del territorio di riferimento e la formazione universitaria, con i Master, tra cui il «Master di II livello per Esperti in Politica e in Relazioni Internazionali», il «Master di I livello in Management delle risorse artistiche e culturali» e il «Master in Religioni e culture con indirizzo civiltà mediterranea: Storia-Cultura-Società»; lo «Sportello della solidarietà» della Fondazione Roma – Terzo Settore, che opera per l’assistenza alle categorie sociali deboli. Per quanto riguarda poi l’attività della Fondazione Roma – Mediterraneo, essa vivifica il territorio di riferimento con iniziative di sicuro rilievo, l’ultima delle quali attiene alla mostra di Clemente presso Palazzo Sant’Elia. Da ricordare, anche l’ambizioso progetto «Aqaba-Eilat: One more step towards Peace», con il quale si intende sostenere e rafforzare i contatti tra le comunità di Aqaba, in Giordania, e di Eilat, in Israele, attraverso programmi di scambio tra studenti; nonché la partecipazione al progetto di cooperazione internazionale per il restauro della Basilica di Sant’Agostino di Ippona ad Annaba, in Algeria. È attiva, altresì, ad Agrigento, con l’iniziativa periodica ospitata nella Valle dei Templi, che quest’anno vedrà esposte le opere del Maestro Plessi dopo quelle di Mitoraj dello scorso anno. Infine, la Fondazione Roma - Mediterraneo ha istituito il premio «Fondazione Roma Mediterraneo Award» per il dialogo tra le culture; il premio si inserisce all’interno del Taormina FilmFest, prestigiosa rassegna cinematografica a livello internazionale. Aquesto impegno della Fondazione Roma e della Fondazione Roma – Mediterraneo si è affiancata, da ultimo, da alcuni anni l’attività di think tank culturale, orientata ad approfondire le maggiori tematiche economiche e sociali della contemporaneità. Dopo il World Social Summit, dedicato alla paure globali (2008), la Conferenza Internazionale «Mediterraneo: Porta d’Oriente» (2010), il ciclo di incontri sulla Big Society (2010-2011) e il convegno «Può l’Italia uscire dall’euro?» (2011), la Fondazione ha recentemente affrontato la questione della lotta alla corruzione nella conferenza dal titolo «Per la crescita dell’economia. Il disegno di legge anti corruzione». È un impegno complesso, per il quale, fortunatamente, posso contare su collaboratori di grande professionalità e competenza sia negli organi che nelle strutture, che assicurano il pieno successo della nostra attività.
 
È vero che La rimproverano di aver posto la cultura in cima alle sue priorità?
La mia priorità è il sostegno al mondo del disagio sociale e della sofferenza, come dimostra l’attività quotidiana della Fondazione Roma. La cultura è nel mio DNA ed è, allo stesso tempo, una parte importante dell’opera filantropica della Fondazione. Nel 2011 è stata altresì costituita la Fondazione Roma-Arte-Musei, che ha come finalità la promozione e la realizzazione di iniziative artistiche e culturali in cinque aree: le Arti Visive, la Poesia, la Musica, il Teatro e l’Editoria. Questa fondazione specialistica è subentrata alla Fondazione Roma nella gestione e nel sostegno dei progetti in questo ambito: il Museo Fondazione Roma, che, nelle due sedi prospicienti di Palazzo Sciarra e Palazzo Cipolla a Roma offre mostre dedicate all’arte classica e a quella intermoderna e contemporanea; l’Orchestra Sinfonica di Roma e il progetto Résonnance, che coniuga la promozione della musica classica con un’azione a carattere umanitario; la rassegna annuale «Ritratti di Poesia»; il sostegno al Teatro Quirino e al Teatro Quirinetta, presso il quale, grazie al nostro intervento, è nata l’Accademia internazionale d’arte drammatica e vengono prodotti spettacoli che portano in scena, in qualità di attori, categorie sociali svantaggiate.
 
Quale futuro vede per l’Italia in un momento così critico?
Il nostro Paese, così come viene gestito da tempo, rischia di non avere un grande futuro. Anche le terapie ultime che sono state introdotte non possono risolvere i problemi. Personalmente avrei preferito altre forme di intervento. Credo che alla stagione delle imposte debba seguire quella del rilancio dell’economia, ma, onestamente, ad oggi non vedo in cosa questo rilancio si concreti. Le liberalizzazioni, che hanno riguardato i farmacisti, i tassisti, i notai, mi sembrano una cosa molto modesta rispetto alle aspettative della società italiana. Inoltre, c’è il grande problema dell’Europa.
Anche in questo, purtroppo, sono stato un buon «profeta». Anni fa ho avevo sollevato questioni che sono oggi di stretta attualità. L’Europa unita è stata un’avventura ambiziosa ma mal avviata. Chi ha negoziato per l’Italia l’entrata nell’Euro ha dimenticato che bisognava considerare non solo il deficit e il debito, ma due componenti fondamentali: la situazione patrimoniale e la condizione reddituale, e noi abbiamo un vasto patrimonio artistico e paesaggistico di gran lunga superiore a quello degli altri Paesi europei. Adesso si parla di ritorno alla dracma in Grecia, c’è chi vuole tornare al fiorino, la Spagna ha addirittura messo in distribuzione le pesetas, ed i Paesi che sembrano risentire meno della crisi sono proprio quelli che non fanno parte del sistema dell’Euro come il Regno Unito e la Svezia. Di che quale Europa allora parliamo? Di un’Europa in cui prima si è creata la moneta, mentre ancora oggi manca l’architettura politica unitaria, in cui una nazione, la Germania, detta le regole dell’economia con una visione antinflazionista che risente del complesso di Weimar, e dove la sfiducia verso le istituzioni comunitarie dilaga. Servono soluzioni che consentano di rimodellare il progetto europeo sotto il profilo sia economico che politico. Occorrerebbe, infatti, che i Paesi membri si mettessero d’accordo sulla revisione dei Trattati e sul ruolo della BCE, ma anche questa non mi sembra una prospettiva di facile raggiungimento. Ed allora, di fronte a questa oggettiva impasse, ed alla difficoltà altrettanto oggettiva di difendere efficacemente la moneta unica senza poter disporre di strumenti adeguati, ritengo che sia responsabile e saggio cominciare a lavorare per preparare una strategia alternativa di uscita dall’euro, alla quale, comunque, mi auguro non si debba ricorrere, ma che non è neppure ragionevole escludere a priori.
 
Se fosse plenipotenziario che cosa farebbe di concreto per il Paese?
Per prima cosa, introdurrei un rigorosissimo controllo del sistema burocratico, procedendo ad un graduale snellimento, in quanto esso non solo è fonte di grandi distorsioni del mercato e di corruttela, ma paralizza l’economia, soprattutto in quegli ambiti in cui è stata maggiore l’immissione di tecnologia. Successivamente, prevederei un taglio sostanziale della spesa pubblica; dopodiché metterei in vendita il patrimonio pubblico che è troppo mal gestito ed improduttivo. In quarto luogo, ridurrei le aliquote fiscali, il che consentirebbe, malgrado la minore ampiezza delle imposte, l’aumento dei proventi. Infine, ipotizzerei un ulteriore potenziamento dell’art. 118 della costituzione sul principio di sussidiarietà, riconoscendo un ruolo più attivo al «Terzo Pilastro», quel variegato mondo di associazioni, fondazioni, organizzazioni di volontariato, ong, ecc. che, insieme allo Stato e al mercato, può dare una concreta risposta ai bisogni sociali, e non solo, del territorio. Un concetto che avevo preconizzato nel 2008 nel mio saggio «Il Terzo Pilastro. Il non profit motore del nuovo welfare», l’equivalente di ciò che il Premier inglese David Cameron ha chiamato «Big Society». Ma soprattutto mi ricorderei del fatto che nel nostro Paese, in cui non esiste più la grande industria, l’agricoltura boccheggia, i servizi sono inefficienti, la ricerca scientifica langue. L’unico vero grande asset è la cultura e la bellezza del territorio, a cui lo Stato riserva purtroppo meno dell’1 per cento del pil. La valorizzazione dello straordinario patrimonio artistico e culturale del nostro Paese, nell’ottica di uno sviluppo che sia al tempo stesso economico, sociale e civile, è una delle direttrici dell’azione della Fondazione Roma. Al tempo stesso, in questo campo, la Fondazione vanta già una positiva esperienza di partnership con il Comune di Roma, all’interno dell’Azienda Speciale Palaexpo e delle Scuderie del Quirinale. Questa sarebbe la via, con una diversa impostazione del rapporto pubblico/privato.
 
Vi chiamate Roma. Che cosa fare per l’attività culturale della Città capitale?
Facciamo già tanto per incrementare l’offerta culturale cittadina, come si evince dalle nostre molteplici attività. Sarebbe tuttavia auspicabile una più attiva e costante sinergia tra pubblico e privato.
Un modello esperibile a patto che il privato sia messo nella condizione di agire liberamente e che non venga solo considerato uno «sponsor» o un semplice erogatore di capitali. Ma ciò presuppone una diversa visione, per la quale da tempo mi sono speso, sul partenariato e sull’effettivo funzionamento dell’art. 118 della Costituzione.
 
 
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(dal XII Rapporto Annuale Fondazioni)
 
Emmanuele Francesco Maria Emanuele è il Presidente della Fondazione Roma dal 1995.