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«Cercavo negli altri l'alimento che mi permettesse di scoprire me stesso»

  • Pubblicato il: 01/03/2013 - 18:09
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI CIVILI
Articolo a cura di: 
Elisa Delle Noci
Paul Delvaux

Mamiano di Traversetolo, Parma. Paul Delvaux non si è mai definito un artista surrealista, ma un «realista poetico», pur avendo nel tempo fatto proprie alcune delle peculiarità della corrente, nata con il Manifesto di André Breton nel 1924.
La mostra della Fondazione Magnani Rocca, «DELVAUX E IL SURREALISMO», dal 23 marzo al 30 giugno 2013, a cura di Stefano Roffi insieme al Musée d'Ixelles-Bruxelles, intende mettere in evidenza quelli che sono gli aspetti dell'opera dell’artista maggiormente aderenti alla corrente.
La ricerca va ad evidenziare la visione onirica degli elementi narrativi appartenenti all'architettura classica antica, tipica dei soggetti presenti nell'opera di De Chirico, grande istrione del Surrealismo, la loro relazione con strumenti della modernità, come stazioni ferroviarie e treni, che determinano lo spaesamento magrittiano e la dislocazione temporale di cui le opere sono intrise. Anche l'effetto allucinatorio della luce lunare o la distorsione prospettica fanno di Delvaux un surrealista di concetto.  Un’estetica che non resuscita i mostri dell'inconscio tipici del surrealisti, ispirati all'analisi di Sigmund Freud, ma conserva l'atmosfera rarefatta e algida del sogno e coniuga la metafisica di De Chirico con la perspicuità di Magritte.
Le 80 opere in mostra, divise tematicamente, vengono messe in relazione con quelle di De Chirico, Magritte, Max Ernst, Man Ray, lungo un percorso che rivela suggestioni affini e speculari atmosfere.

Paul Delvaux nacque il 23 settembre del 1897 a Antheit. Frequentò l'Académie Royale des Beaux-Arts di Bruxelles, in cui si laureò in Architettura e Pittura Decorativa. Le sue opere giovanili risentono dell'influenza dell'impressionismo e dell'espressionismo: le delicate figure immerse nel naturalismo imperfetto, en plein air, si mescolano ad elementi primitivisti, di abbandono dei canoni altisonanti della società nobile, a vantaggio di un ritorno alla vita semplice, arcaica. La vita agiata a cui era abituato - essendo suo padre un avvocato, gli permisero di studiare musica e greco, discipline che lasciarono tracce evidenti nell'opera del giovane Paul Delvaux, come le scene mitologiche e gli elementi decorativi appartenenti al mondo greco.
Nel 1936 circa, il suo procedere subisce una deviazione, dovuta all'incontro con De Chirico e Magritte, le cui opere influenzarono il suo stile tanto che fu lo stesso Delvaux ad ammettere l'importanza che l'incontro ebbe nella sua opera: «Cercavo negli altri l'alimento che mi permettesse di scoprire me stesso. Perciò ho fatto pittura espressionista. Ho fatto pittura come quella di Ensor. C'era qualcos'altro che volevo trovare: fu allora che scoprii Giorgio de Chirico, e fu lui, d'un tratto, a mettermi sulla strada giusta».

Altri autori che condussero Delvaux ad aderire al surrealismo furono: James Ensor, di Salvador Dalí, di Max Ernst, di Joan Miró e di Balthus, le cui opere lo convinsero di dover distruggere i quadri precedenti, per elaborare una nuova estetica introspettiva con simbologie paranoiche e a tratti ossessive. I soggetti ricorrenti nelle opere di Delvaux sono le figure femminili nude, pallide ed eteree dalla sensualità latente, accostate a palesi simboli di morte che sembrano ossessionarlo e le sono valsi la censura di papa Giovanni XXIII, il quale proibì ai preti l'eccesso di una pittura presentata alla mostra del 1962 ad Ostenda in quanto avrebbe potuto turbare per la provocazione intrinseca. La figura dell'uomo borghese vestito con abiti scuri che compare a fianco delle donne disinvoltamente nude, frequentemente viene rappresentato ma pare non dare importanza alla nudità della donna, creando una frattura di incomunicabilità fra i due sessi, ma siamo sempre nel mondo immaginario di un grande artista dell'artefatto che ha saputo conciliare il classicismo con l'avanguardia in un dialogo perenne.

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